venerdì 29 febbraio 2008
Il tuo profumo...
Nuovamente al bancone, seduto e con troppi bicchieri vuoti davanti a me.
Mi sento soffocare, ho bisogno d'aria.
Camminare dritto non mi è difficile nonostante i passi lunghi, il troppo alcool è l'ultimo dei problemi per uno come me...
La notte mi accarezza il viso fuori dal Cafè de Paris, accogliendomi in quel solito abbraccio che troppo bene conosco e che altrettanto amo.
Montecarlo è una splendida donna ogni volta che la tenebra l'avvolge, irresistibile nel suo sorriso riflesso in ogni neon e nei suoi profumi mescolati alla salsedine...
Mi seduce chiamandomi per nome ad ogni passo...sussurrandomi con la tua voce.
Sorriso entrando nella Hall, rievocando il nostro primo incontro, quegli sguardi catturati come in un'istantanea indelebile...
Eri così bella da tagliarmi il fiato prima che potesse scendere nei polmoni.
Nadine, Nadine...
Riappari come uno spettro, un battito di ciglia ubriaco di Martini, e cavalcando i fumi alcolici sparisci...
Non posso fare a meno di continuare a sorridere.
“Bon nuit, Armand”
“Bon nuit, monsieur Lucien. La chiave della sua suite”
Cordiale come sempre.
“Merci, Armand”
Avvio i passi verso le scale, mi attende un altro Martini.
Ho voglia di pensarti ancora, mentre realizzo quanto queste chiavi siano così pesanti quando si è soli a portarle.
“Attend, monsieur!” la voce di Armand mi blocca a pochi metri dal bancone “c'è una lettera per lei”.
Un solo sguardo, il tuo nome sulla busta.
Nadine.
Ed il tuo profumo, improvviso, inonda i miei sensi...
giovedì 28 febbraio 2008
Lucien - Capitolo II parte Seconda
Non che sia poi così male la vita in Costa Azzurra, s’intende, non che si possa mai dire il contrario.
Sarebbe antireligioso, quasi blasfemo. Un insulto a Dio.
Purtroppo l’Onnipotente,nell’ideare il paradiso,non tenne conto di quel dramma che affligge la sua creatura prediletta, quella che dall’alba dei tempi l’ attanaglia, quella che la spinse ad assaggiare il frutto proibito per il semplice gusto di trasgredire: la noia.
Infatti mi annoio. Dannatamente.
Non riesco a stare immobile,inattivo,fermo.
Mi rimane troppo tempo per restare solo con me stesso.
Ed io non lo voglio.
“Ragazzo, un altro Martini ,per favore!e non dimenticare l’oliva…”beviamoci su, sperando che i miei demoni possano morire affogati dall’alcool.
Merde, a quanto pare non solo sanno stare a galla, ma nuotano che è un piacere…
Mi fissi dal bordo della piscina, silenziosa, l'espressione vuota.
“Sei sempre qui,ormai non mi stupisco più…anzi, finirò col chiederti di sposarmi,se questa convivenza dovesse continuare”Rido di cuore nonostante tu abbia negli occhi quello sguardo vitreo.
“monsieur, tutto bene?”una voce mi sveglia dalla fantasia.
“COME?ah,si…parlavo tra me,nulla di più.”ma non deve essere stata una risposta troppo convincente, da quanto lascia intendere l'espressione del mio inquisitore.
Lo sguardo cade tra le troppe coppe di martini vuote sul mio tavolino.
“Ne è sicuro?credo lei abbia bevuto troppo”incalza quell’uomo obeso e stempiato, con la tipica falsa gentilezza di un pescecane in vacanza.
Ma vaffanculo.
Se avessi a disposizione una .38 probabilmente piazzerei una pallottola in fronte a questa testa di cazzo, lo ammazzerei anche gratis. Forse pagherei addirittura per poterlo fare. Mi hanno sempre innervosito i ficcanaso.
“Non si preoccupi,sto bene. Come le ho detto,pensavo ad alta voce.”
E la smetta di rompermi i coglioni, per cortesia.
Si, effettivamente ho bevuto troppo, ma sono in vacanza, dannazione!
Sempre ligio alle regole, pignolo e perfezionista, paranoico. Adesso voglio godermi un meritato riposo. E voglio il mio maledettissimo Martini.
“Ragazzo,un altro”dico fulminando con lo sguardo l’idiota di prima.
Abbozzo un sorriso,mentre il codardo frettolosamente guarda altrove.
Ne vuoi uno anche tu?Non posso ordinarne un secondo, ma chere, mi prenderebbero per folle.
Non volermene, per oggi non intendo allestire altri teatrini. Bevi dalla mia coppa, se vuoi.
Perché invece non fai un tuffo?ti raggiungerò in un attimo, il tempo di mandarlo giù…
Chiudo gli occhi per qualche istante, attorno a voci di ogni età e sesso, rumori di corpi che incontrano fragorosamente l’acqua della piscina, tintinnii di coppe e bottiglie, risa e profumi di alcol, cosmetici e cloro. Annullo me stesso,godendomi il sangue che pulsa violento nelle mie vene,raccontandomi che sono vivo, godendomi fino in fondo la sbronza.
Ho l’impressione di galleggiare un metro sopra terra, leggero, contro ogni legge della fisica…
“monsieur, mi perdoni, la desiderano al telefono”
Piombo a terra e riapro gli occhi,di scatto.
Tu mi fissi ancora dal bordo della piscina, i capelli bagnati, circondata d’acqua rossa del tuo sangue, inespressiva.
“monsieur?”volgo lo sguardo al ragazzo,diffidente e stizzito.
“Avevo dato esplicito comando di non passarmi alcuna telefonata”
“chiedo scusa,ma ha detto che si trattava di una questione importante. Ci ha assicurato che lei avrebbe compreso…”.
“Va bene,v a bene”replico non troppo convinto, prendendo il telefono dal vassoio in argento ed allontanando con qualche Euro il il ragazzo.
“Sono in vacanza, Monsieur Gatto” è il pensiero che quasi vomito dal fastidio.
“Sono spiacente di disturbarti, mio caro Lucien, ma i Migliori non hanno ferie, e tu sei ancora il migliore, vero?”.
Colpo basso, Bastardo.
“I suoi modi non la smentiscono mai, Monsieur Gatto, ed il rispetto è ancora qualità che non le compete affatto”. Per un istante il silenzio suonò minaccioso come una dichiarazione di guerra.
Non era certo uomo da tollerare simili atteggiamenti e, per quanto io possa essere il migliore sulla piazza, sono soltanto un uomo di carne e sangue. E sono solo.
Se soltanto decidesse di farmi fuori, sarei un cadavere ambulante, il mio massacro sarebbe questione di tempo per uno che può contare sulla forza dei numeri.
Pensate si possa scappare a lungo da un centinaio di sicari il cui obiettivo è ridurti ad una macchia sanguinolenta del pavimento?
“Non mi provochi, Lucien, non approfitti della mia pazienza. Ho un lavoro urgente per lei. Non me lo faccia ripetere. Non le conviene.”
Prima o poi ti sventrerò con le mie mani,dico a me stesso pregustando quel momento.
“Nella sua camera troverà istruzioni. A presto. Ah,dimenticavo: questa volta non spenga il cellulare.”
Aveva riattaccato ancor prima che potessi replicare.
Ma forse è stato meglio così.
E tu dove sei, mio bel fantasma?Hai deciso di non tormentarmi,per il momento?
Peccato,la tua compagnia cominciava a piacermi.
mercoledì 27 febbraio 2008
Ispirazione
Non te ne spieghi la ragione...o forse si.
Ed intanto eterei amici sussurrano segreti: vecchi fantasmi voraci di libertà...
venerdì 22 febbraio 2008
Romeo riderà sempre delle cicatrici...
(Entra ROMEO)
ROMEO: Ride delle cicatrici, chi non ha mai provato una ferita.
(Giulietta appare ad una finestra in alto) Ma, piano! Quale luce spunta lassù da quella finestra? Quella finestra è l'oriente e Giulietta è il sole! Sorgi, o bell'astro, e spengi la invidiosa luna, che già langue pallida di dolore, perché tu, sua ancella, sei molto più vaga di lei. Non esser più sua ancella, giacché essa ha invidia di te. La sua assisa di vestale non è che pallida e verde e non la indossano che i matti; gettala. E' la mia signora; oh! è l'amor mio!
oh! se lo sapesse che è l'amor mio! Ella parla, e pure non proferisce accento: come avviene questo? E' l'occhio suo che parla; ed io risponderò a lui. Ma è troppo ardire il mio, essa non parla con me:
due fra le più belle stelle di tutto il cielo, avendo da fare altrove, supplicano gli occhi suoi di voler brillare nella loro sfera, finché esse abbian fatto ritorno. E se gli occhi suoi, in questo momento, fossero lassù, e le stelle fossero nella fronte di Giulietta? Lo splendore del suo viso farebbe impallidire di vergogna quelle due stelle, come la luce del giorno fa impallidire la fiamma di un lume; e gli occhi suoi in cielo irradierebbero l'etere di un tale splendore che gli uccelli comincerebbero a cantare, credendo finita la notte.
Guarda come appoggia la guancia su quella mano! Oh! foss'io un guanto sopra la sua mano, per poter toccare quella guancia!
GIULIETTA: Ohimè!
ROMEO: Essa parla. Oh, parla ancora, angelo sfolgorante! poiché tu sei così luminosa a questa notte, mentre sei lassù sopra il mio capo come potrebbe esserlo un alato messaggero del cielo agli occhi stupiti dei mortali, che nell'alzarsi non mostra che il bianco, mentre varca le pigre nubi e veleggia nel grembo dell'aria.
GIULIETTA: O Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre; e rifiuta il tuo nome: o, se non vuoi, legati solo in giuramento all'amor mio, ed io non sarò più una Capuleti.
ROMEO (fra sé): Starò ancora ad ascoltare, o rispondo a questo che ha detto?
GIULIETTA: Il tuo nome soltanto è mio nemico: tu sei sempre tu stesso, anche senza essere un Montecchi. Che significa "Montecchi"? Nulla: non una mano, non un piede, non un braccio, non la faccia, né un'altra parte qualunque del corpo di un uomo. Oh, mettiti un altro nome! Che cosa c'è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa, anche chiamata con un'altra parola avrebbe lo stesso odore soave; così Romeo, se non si chiamasse più Romeo, conserverebbe quella preziosa perfezione, che egli possiede anche senza quel nome. Romeo, rinunzia al tuo nome, e per esso, che non è parte di te, prenditi tutta me stessa.
ROMEO: Io ti piglio in parola: chiamami soltanto amore, ed io sarò ribattezzato; da ora innanzi non sarò più Romeo.
GIULIETTA: Chi sei tu che, così protetto dalla notte, inciampi in questo modo nel mio segreto?
ROMEO: Con un nome io non so come dirti chi sono. Il mio nome, cara santa, è odioso a me stesso, poiché è nemico a te: se io lo avessi qui scritto, lo straccerei.
GIULIETTA: L'orecchio mio non ha ancora bevuto cento parole di quella voce, ed io già ne riconosco il suono. Non sei tu Romeo, e un Montecchi?
ROMEO: Né l'uno né l'altro, bella fanciulla se l'uno e l'altro a te dispiace.
GIULIETTA: Come sei potuto venir qui, dimmi, e perché? I muri del giardino sono alti, e difficili a scalare, e per te, considerando chi sei, questo è un luogo di morte, se alcuno dei miei parenti ti trova qui.
ROMEO: Con le leggere ali d'amore ho superati questi muri, poiché non ci sono limiti di pietra che possano vietare il passo ad amore: e ciò che amore può fare, amore osa tentarlo; perciò i tuoi parenti per me non sono un ostacolo.
GIULIETTA: Se ti vedono, ti uccideranno.
ROMEO: Ahimè! c'è più pericolo negli occhi tuoi, che in venti delle loro spade: basta che tu mi guardi dolcemente, e sarò a tutta prova contro la loro inimicizia.
GIULIETTA: Io non vorrei per tutto il mondo che ti vedessero qui.
ROMEO: Ho il manto della notte per nascondermi agli occhi loro; ma a meno che tu non mi ami, lascia che mi trovino qui: meglio la mia vita terminata per l'odio loro, che la mia morte ritardata senza che io abbia l'amor tuo.
GIULIETTA: Chi ha guidato i tuoi passi a scoprire questo luogo?
ROMEO: Amore, il quale mi ha spinto a cercarlo: egli mi ha prestato il suo consiglio, ed io gli ho prestato gli occhi. Io non sono un pilota:
ma se tu fossi lontana da me, quanto la deserta spiaggia che è bagnata dal più lontano mare, per una merce preziosa come te mi avventurerei sopra una nave.
GIULIETTA: Tu sai che la maschera della notte mi cela il volto, altrimenti un rossore verginale colorirebbe la mia guancia, per ciò che mi hai sentito dire stanotte. Io vorrei ben volentieri serbare le convenienze; volentieri vorrei poter rinnegare quello che ho detto: ma ormai addio cerimonie! Mi ami tu? So già che dirai "sì", ed io ti prenderò in parola; ma se tu giuri, tu puoi ingannarmi: agli spergiuri degli amanti dicono che Giove sorrida. O gentile Romeo, se mi ami dichiaralo lealmente; se poi credi che io mi sia lasciata vincere troppo presto, aggrotterò le ciglia e farò la cattiva, e dirò di no, così tu potrai supplicarmi; ma altrimenti non saprò dirti di no per tutto il mondo. E' vero, bel Montecchi, io son troppo innamorata e perciò la mia condotta potrebbe sembrarti leggera. Ma credimi, gentil cavaliere, alla prova io sarò più sincera di quelle che sanno meglio di me l'arte della modestia. Tuttavia sarei stata più riservata, lo devo riconoscere, se tu, prima che io me n'accorgessi, non avessi sorpreso l'ardente confessione del mio amore: perdonami dunque e non imputare la mia facile resa a leggerezza di questo amore, che l'oscurità della notte ti ha svelato così.
ROMEO: Fanciulla, per quella benedetta luna laggiù che inargenta le cime di tutti questi alberi, io giuro...
GIULIETTA: Oh, non giurare per la luna, la incostante luna che ogni mese cambia nella sua sfera, per timore che anche l'amor tuo riesca incostante a quel modo.
ROMEO: Per che cosa devo giurare?
GIULIETTA: Non giurare affatto; o se vuoi giurare, giura sulla tua cara persona, che è il dio idolatrato dal mio cuore, ed io ti crederò.
ROMEO: Se il sacro amore del mio cuore...
GIULIETTA: Via, non giurare. Benché io riponga in te la mia gioia, nessuna gioia provo di questo contratto d'amore concluso stanotte: è troppo precipitato, troppo imprevisto, troppo improvviso, troppo somigliante al lampo che è finito prima che uno abbia il tempo di dire "lampeggia". Amor mio, buona notte! Questo boccio d'amore, aprendosi sotto il soffio dell'estate, quando quest'altra volta ci rivedremo, forse sarà uno splendido fiore. Buona notte, buona notte! Una dolce pace e una dolce felicità scendano nel cuor tuo, come quelle che sono nel mio petto.
ROMEO: Oh! mi lascerai così poco soddisfatto?
GIULIETTA: Quale soddisfazione puoi avere questa notte?
ROMEO: Il cambio del tuo fedele voto di amore col mio.
GIULIETTA: Io ti diedi il mio, prima che tu lo chiedessi; e tuttavia vorrei non avertelo ancora dato.
ROMEO: Vorresti forse riprenderlo? Per qual ragione, amor mio?
GIULIETTA: Solo per essere generosa, e dartelo di nuovo. Eppure io non desidero se non ciò che possiedo; la mia generosità è sconfinata come il mare, e l'amor mio quanto il mare stesso è profondo: più ne concedo a te, più ne possiedo, poiché la mia generosità e l'amor mio sono entrambi infiniti. (La Nutrice chiama di dentro) Sento qualche rumore in casa; addio, caro amor mio! Subito, mia buona nutrire! Diletto Montecchi, sii fedele. Aspetta un solo istante, tornerò. (Esce)
ROMEO: O beata, beata notte! Stando così in mezzo al buio, io ho paura che tutto ciò non sia che un sogno, troppo deliziosamente lusinghiero per essere realtà.
(Giulietta torna alla finestra)
GIULIETTA: Due parole, caro Romeo, e buona notte davvero. Se l'intenzione dell'amor tuo è onesta e il tuo proposito è il matrimonio, mandami a dire, domani, per una persona che farò venir da te, dove e in qual tempo tu vuoi compiere la cerimonia ed io deporrò ai tuoi piedi il mio destino e ti seguirò, come signore mio, per tutto il mondo.
NUTRICE (di dentro): Signora!
GIULIETTA: Vengo subito. Ma se le tue intenzioni non sono oneste, io ti scongiuro...
NUTRICE (di dentro): Signora!
GIULIETTA: Ora vengo! Cessa le tue proteste e lasciami al mio dolore:
domani manderò.
ROMEO: Così l'anima mia sia salva...
GIULIETTA: Mille volte buona notte! (Si ritira dalla finestra)
ROMEO: Mille volte cattiva notte, invece, poiché mi manca la tua luce.
Amore corre verso amore, con la gioia con cui gli scolari lasciano i loro libri, ma al contrario amore lascia amore con quella mestizia nel volto, con la quale gli scolari vanno alla scuola. (Si ritira lentamente)
(Riappare GIULIETTA alla finestra)
GIULIETTA: Pst! Romeo, pst! Oh avessi io la voce di un falconiere, per richiamare a me questo gentile terzuolo! La voce della schiavitù è fioca, e non può farsi sentire: altrimenti saprei squarciare la caverna dove si cela l'eco e far diventare l'aerea sua voce più fioca della mia, a forza di ripetere il nome del mio Romeo.
ROMEO (tornando indietro): E' l'anima mia che pronunzia il mio nome; che dolce tinnire d'argento ha nella notte la voce degli amanti! E' come una musica dolcissima, per un orecchio che ascolta avidamente.
GIULIETTA: Romeo!
ROMEO: Cara!
GIULIETTA: A che ora, domani, devo mandare da te?
ROMEO: Alle nove.
GIULIETTA: Non mancherò; ci sono venti anni di qui allora. Non mi ricordo più perché ti ho richiamato.
ROMEO: Lasciami restar qui finché te ne ricordi.
GIULIETTA: Allora io non me ne ricorderò apposta, affinché tu resti qui ancora, rammentandomi solamente quanto mi è cara la tua compagnia.
ROMEO: Ed io resterò qui, perché tu non te ne ricordi, dimenticando ogni altra mia abitazione fuori di questa.
GIULIETTA: E' quasi giorno, io vorrei che tu fossi già partito, ma senza allontanarti più dell'augellino, che una monella lascia saltellare per un poco fuori della sua mano, povero prigioniero avvinto nelle sue ritorte catene, e tosto per mezzo di un filo di seta lo riconduce a sé con una stratta, amante troppo gelosa della sua libertà.
ROMEO: Io vorrei essere il tuo augellino.
GIULIETTA: Anch'io vorrei che tu lo fossi o caro: ma avrei paura di ucciderti per il troppo bene. Buona notte, buona notte! L'addio che ci separa è un dolore così dolce, che ti direi "buona notte" fino a domattina. (Si ritira)
ROMEO: Il sonno scenda sugli occhi tuoi, la pace nel tuo petto! Oh fossi io il sonno e la pace per riposare così dolcemente! Ed ora anderò alla cella del mio padre spirituale ad implorare il suo aiuto e a raccontargli la mia buona ventura.
martedì 19 febbraio 2008
Giochi di mezzanotte
Non furono carezze, non furono effusioni, non furono baci a risvegliarla dal torpore di un sogno intraprendente,ma la prepotente intrusione di un corpo che le affondava tra labbra già umide,turgido,imponente,imponendole di spalancare le cosce per accoglierlo interamente dentro di lei…
Non vi furono parole, ma solo un continuo sospirare e gemere di bocche spalancate che ricercano ossigeno con voci spezzate da un piacere che rende vano ogni pensiero distante dalla carne…
Sedeva su di lui,adesso,i suoi seni stretti tra le dita mentre cavalcava ingorda sostenuta e sospinta da mani forti, bramose,violente che premevano sui suoi glutei sodi di ventenne, in un altalenante amplesso ad occhi chiusi…
L’uomo sentiva il sesso scivolargli per l’intera lunghezza del membro, ansimava duramente quando le labbra si stringevano,uscendo, attorno al suo glande per scivolargli ancora fino a schiantarne i bacini l’uno contro l’altro.
Spingeva con forza crescente, sollevandola verso il cielo quasi a farglielo toccare, riportandola poi a terra tra contrazioni vaginali ed urla soffocate,mentre il suo piacere si riversava copioso e violento dentro di lei,riempiendola e mescolandosi al suo…
domenica 17 febbraio 2008
La barba da fare, ispida, cattiva
Quegli occhi cerchiati, il nero opprimente
Il volto pallido e stanco, l'aria febbricitante
Difficile sostenerne lo sguardo inquisitore, tagliente, di quelli che ti si ficcano nella carne per non uscirne più.
Vuole dire qualcosa, ogni volta che digrigna la bocca in una smorfia?
Cazzo avrà mai da guardare?
venerdì 15 febbraio 2008
piccoli morsi d'infinito
Goccia, lacrima, labbra
misterioso oblio
Occhi stanchi di buio vestiti
Respiro e sospiro
Abbraccio notturno
Silenziosamente avvolta d'emozioni
labili eppur profonde,
anestetizzate scarificazioni
Lasciami esser seta sulla pelle,
un tocco appena,
tra il brivido e l'ignoto sospeso,
Tessuto di carne e sangue
da indossare sulle nudità dell'anima
Che di me l'essenza ti colori
del profumo del cremisi,
d'umori e paradossi
infranti...
mercoledì 13 febbraio 2008
Nadine
“Siddharta", Herman Hesse
Cafè de Paris, Montecarlo, 1998
Nadine era semplicemente splendida.
Non potevo nascondere lo sguardo dai suoi occhi, non potevo staccarlo.
E non ci sarebbe stato altrove posto migliore dove posarlo.
Lei era il centro di tutto, gravitavo attorno a lei, troppo intento ad osservare ogni singolo movimento di quelle labbra rubino.
Le parole non avevano significato mentre il loro suono accarezzava i timpani, non le ascoltavo, la mia razionalità dispersa nel vento...
“Ti piaccio, vero?”parole con il sapore tagliente del metallo, quelle pronunciate con disinvoltura dalle sue labbra, capaci di trascinarmi fuori dal sogno ad occhi aperti.
Per poco non caddi dalla sedia.
“Come, scusa?” fu l'unica cosa che riuscii a dire.
“Io ti piaccio, lo so. Non puoi nascondermelo”
Abbozzai un sorriso sospeso tra l'ironia e la sfida.
“Non credi d'esser troppo sicura di te, ma chère?”
Nadine portò la coppa alle labbra, sorseggiando appena il vino rosso sangue, quasi stesse assaporandolo direttamente dalle mie vene.
“No, Lucien, non lo credo affatto. E' palese, lo si capisce da come mi fai sentire bella, interessante...”
Silenzio, mentre i suoi occhi entravano pesantemente nei miei.
“...da molto non mi sentivo così”.
Dannata stronza...
Pietra e Ulivi
costa rocciosa ed impervia,
affacciata sul mare come
giovane ragazzina alla finestra,
in attesa del suo marinaio.
Aspro profumo di limoni
nell'aria salmastra,
unito al chimico odore
di creme e pasti fugaci
mal consumati.
Bonaccia e schiuma.
Marmitte sorde per strade
arrampicate sulla costa
tra cosce abbronzate
e seni intraprendenti
Ammicca, occhio frivolo,
cosa intendi dire,
sotto quell'eyeliner?
Nascondi ancora, dietro le lenti,
fuggi forte al Sole proprio ciò
che di vero in te resta.
Ebano
Vola insieme ai gabbiani,
brezza marina,
porta con te la follia,
l'amara ipocrisia.
Soffia lontano.
E portami con te.
martedì 12 febbraio 2008
good riddance (time of your life)
Lo sbattere delle ciglia
Il pulsare del cuore
Tempo infinito
pur non bastando mai,
quanto serve ad esistere...
Se solo se ne potesse prender altro,
il tempo per riflettere...
E leggere parole impresse sulle nuvole,
abbandonate tra i respiri, trasportate dal vento,
non sarebbe solo sogno...
Tiranno, fugge come una donna troppo avvenente,
ammiccante lancetta, questo mio tempo.
Non mi basti, istante,
se innumerevoli i pensieri s' affollano,
sovrapponendo sorrisi, gesti, occhi, visi...
non mi basti,
uno ad uno li voglio osservare.
Assaporare.
Tempo da vivere.
Wasabi e Zenzero
La mia amica Fede, il sorriso sempre acceso in quegli occhi capaci di guardarti dentro...
Mi mancava un pranzetto insieme, tra un esame ed il lavoro, la lotta fatta con le bacchette ed il cibo tra i piattini trasportati dal tapis roulant...
Mi hai contagiato con la tua gioia, raccontandomi del nuovo amore che t'infiamma ed urlando per le spezie troppo invadenti per il tuo palato...
Mi hai regalato due ore di allegria, amica mia.
E pensare che non avevo voglia di sushi...
Ti voglio bene.
lunedì 11 febbraio 2008
Here is Gone
Datemi un deserto, un'alba, il vento delle cinque che colpisce il viso...
Datemi i miei vent'anni, polverosi e casinisti,
le birre vuote d'importazione, le sbronze furiose...
Datemi un fegato per distruggerlo ancora,
un'anima per vomitarla di nuovo insieme all'alcool...
Datemi un cuore per pugnalarlo,
labbra e cosce per poterle mordere...
Datemi una bionda, da fumare
sputando sangue e bestemmie
Datemi un cazzotto e rompetemi un dente,
o tutti se vi riesce,
così che mi possa rialzare ridendo...
Il risveglio non è null'altro che quel muro contro il quale ti sfracelli ogni volta che riapri gli occhi.
Il sole t'accarezza, ti coccola, scagliandoti poi fuori con prepotenza dal piccolo mondo che colonizza la tua testa...
Eppure il mattino è così gentile, con i suoi profumi di caffè caldo e latte, discreto nei suoi silenzi...amico nella sua solitudine.
Il vuoto domina tra bottoni e polsini, asole e laccetti, gel e lucido da scarpe...
Ed intanto l'eco del vento risuona senza sosta tra orecchie intorpidite, ancora troppo addormentate per poter cogliere le parole che trasporta, ma, come una presenza calda ed avvolgente, l'occhio del ciclone domina i pensieri...
domenica 10 febbraio 2008
Sogno,inafferrabile desiderio,
brama cocente
come la morte senz'armi ti mostri
ed inesorabile t'abbatti...
Nulla di me resta
l'oblio più cupo,forse,
un equo tributo
per le mie malefatte.
Il tragico incidente delle mie pulsioni,
un omicidio camuffato,la dipartita dell'Ego
è tutto il sapore del mio trapasso...
Poichè di te muoio,
ma troppe ancora son le corde
che mi tengono sospeso
Libero davvero,forse, non lo sono stato mai.
Soltanto nella morte, credo,
delle mie passioni.
Non ci guarderemo indietro mai
emozione come inchiostro
marchia leggera,
impressa con punta scava,
suonando d'artigli e coltelli...
sabato 9 febbraio 2008
Segreto,
dolciastro pensiero mai pronunciato
Solitario affondi
tra pieghe e delitti
Urlo notturno,
riecheggi nell'anima,
ricolmo d'angoscia
strappi le carni
Restano ossa,
sangue e tormento,
brandelli di memoria
frammenti di coscienza
Poeti di carta,
scarabocchi di parole,
privi di senso se non per
spiriti che sanno ascoltare
venerdì 8 febbraio 2008
La Febbre
guardo attraverso,
negativo da realizzare
Se m'immergessi, forse,
prenderei forma?
Di quali tinte vestirei
i miei occhi,
quanto largamente tirerei
il mio sorriso?
Toni di grigio o colori brillanti,
informe policromo mosaico
di tasselli rinfusi
la mia espressione,
vento gelido di strada invernale,
carne malinconica
di tutto infranta,
sangue rappreso
d'orgoglio e passione
E la febbre,
con le sue labbra viola,
intanto
dell'anima pasteggia
boriosa,
con denti affilati morde
e frammenti divora
vorace
L'eco dell' Alfa
Il silenzio dell' Omega
Tramonto,
All'orizzonte inumidisci fronde
Con tiepidi raggi,
Il benvenuto ad una Luna
Che sta per arrivare,
Incanto e meraviglia
Rosso del sangue
Scivoli sulla battigia
E tra le acque lente
E placide ti posi
Ignaro ed immutato
Da sempre, imperituro
Muori e rinasci,
Infante e vecchio
Onniscente ed immemore
Immutato e mutevole
Salute a te, naufrago compagno
D'avventure solitarie amico
Testimone silenzioso,
La cui parola non conforta,
Ma scalda l'animo
Della tristezza di un giorno
Che finisce ancora
giovedì 7 febbraio 2008
Oltre lo specchio
Io sono.
In carne e sangue, spirito sfiancato, anima frantumata.
Un uomo, sogni e speranze, desideri,
virtù e vizi,
successi e clamorosi errori.
Sono. Esisto. Vivo.
In ogni respiro, marchio della mia presenza,
dell'ombra che proietto il negativo,
l'assenza di luce, la mancata rifrazione,
interposto tra occhi ed il resto del mondo,
Sono il grido, il battito del cuore, l'ossigeno rubato,
ossa su di un prato...
la sagoma di gesso
che ruba spazio al cemento.
Esisto in ogni dubbio, ne incarno l'essenza,
sorrido e me ne frego
Anche se ondeggio, sbando
Sono la testa nella bocca del leone, quel cancello rugginoso,
il sentiero abbandonato.
Null'altro che follia, splendido abisso, alienata percezione.
Io Sono, vaffanculo il resto.
Il viaggio continua...
Il dolore rende forti...
Terapeutico, devastante, confortante dolore...
Ti ricordo in ogni cicatrice gelosamente custodita, in ogni scarificazione dell'anima...
Condizione necessaria, non si prescinde da te, non si riesce a stare lontani a lungo dal tuo abbraccio...
dannatamente desiderosi di provare i tuoi morsi e le tue carezze ci facciamo a pezzi con le nostre stesse mani, ci immoliamo a te chiamandoti Eros...
MirrorMask
Quali occhi vestirò oggi?
Un biglietto omaggio per la follia...
Se potessi invitarvi nella mia mente, queste immagini, forse, s'infrangerebbero contro i vostri sensi come specchi in frantumi...
Buon viaggio... e, se volete, portate con via con voi un frammento di questo sogno...
Così che possiate specchiarvici nei giorni bui...
mercoledì 6 febbraio 2008
Poets Of The Fall - Sleep
Sto lavorando come un pazzo, sistemando gli ultimi appunti scarabocchiati, troppo intento a riorganizzare scoordinate frasi e post it...eppure questa canzone rimbomba nelle orecchie... ho sentito il bisogno di cristallizzarla su questo blog, con l'augurio che possa pizzicare le corde emotive di quanti ascolteranno...creando in loro la stessa meravigliosa melodia che risuona, in questo istante, dentro me...
martedì 5 febbraio 2008
Nuovo inizio
il respiro addormentato
tra morbidezze del cuscino,
capelli disordinati tra dita che accarezzano
poesia accecante come il sole del mattino,
colpisce il volto,
ferisce gli unici occhi svegli
come morbida lama,
affilata lacera il cuore,
trafiggendo l'essenza stessa.
Ascoltare il ritmo di seni che invocano
il cielo
sotto quel soffitto,
uno squarcio nell'infinito,
un vuoto pieno d'emozione
trascina,
musica sulla quale danzare
E sfiorando le labbra appena,
catturare l'anima,
solo per sentirla pulsare...
Viva, reale, vicina.
Solo per accorgersi
di sognare...
Il sole bussava prepotente alle finestre, ma lui non si decideva ad aprire.
Ed allora provò ad entrare sfondando con calci pesanti le persiane serrate, ma Lui non voleva saperne affatto di stare nel mondo degli svegli.
Rassegnato, l'Astro girò sui tacchi, deciso a vendicarsi su qualche altro sventurato che ancora si rigirava tra le lenzuola.
Gli occhi pesanti, la mancanza di sonno, la fatica della notte precedente rendevano quel divano stranamente comodo, un abbraccio talmente morbido da non poter esser rifiutato.
Il desiderio di trovarla ancora fece il resto.
Dormire su petali di papavero rosso non era poi così male, quella brezza calda, poi, rendeva il sonno ancora più piacevole.
Aprì gli occhi sotto il cielo stellato, illuminato da tre splendide lune troppo intente a volteggiare ed inseguirsi per accorgersi di quel buffo essere disteso su di un prato.
Stropicciò gli occhi, guardandosi intorno con aria insospettita, una sensazione umida e ruvida sulla guancia destra.
Scattò seduto, pulendo con un gesto della mano quella roba appicicaticcia che si trovava sul viso, cercando la fonte di tale schifo.
Un micio di pezza, malconcio ad esser sinceri, lo guardava agitando la coda.
Strizzava i due bottoncini viola e fucsia che gli facevan da occhi, mentre con un musetto di velluto logoro emetteva fusa che sapevano del fruscio della seta.
Lui saltò in piedi, senza parole, la bocca aperta, inebetito nel fissare tutte le cuciture dello strano micio.
Una ad una.
“E tu chi diavolo saresti?”
E subito si rese conto che, forse, non era la domanda più furba da fare.
Almeno non quando ti risvegli in un campo di papaveri, solo, con sopra la testa un terzetto di lune ubriache che giocano a rincorrersi.
Soprattutto fare domande ad un gatto, specialmente se di pezza, era la cosa più idiota che avesse mai combinato.
“Miao”gli fece in risposta, guardandolo coi suoi bottoncini.
Lui sospirò, grattandosi la testa.
Una leggera brezza cominciò a soffiare, appena percettibile, un sussurro.
Portava con sé uno strana fragranza, un'essenza nota, familiare.
Inarcò gli occhi, meditabondo, cercando di far lavorare le sinapsi ancora stordite...
"Hey, ma questo è il suo profumo!" urlò con l'aria di chi ha appena acceso una lampadina nella sua testa.
E cominciò a correre verso l'orizzonte...
lunedì 4 febbraio 2008
Lascia che il giorno ceda il posto alla notte,
lascia che siano solo le fioche luci dei lampioni ad illuminare
la lunga strada verso casa…
Lascia che siano le intermittenze al neon delle insegne
a guidareI tuoi passi svelti e rapidi, stanchi…
Lascia che la tua mente vaghi
in pensieri troppo distanti dal buio che ti circonda,
incurante della bellezza del suono d’impronte che
accarezzano solitarie l’asfalto.
Pensa, vaga nei sogni, perditi
nella luce artificiale dei tuoi ricordi,
scaldati nel tenue calore dei tuoi desideri…
…mentre la notte attanaglia l’anima.
La Cura
Mi aggiro silenzioso, sotto la leggera pioggia di mezzanotte.
Solo, non un cane per la strada.
Nemmeno la luna a farmi compagnia.
Le luci giallognole dei lampioni ad illuminare il passo, il fumo della sigaretta, quella solita stronza, a scaldarmi le ossa morse dal freddo.
Cazzo ci faccio qui, vagabondando come un idiota?
Non so rispondermi, vago in cerca di qualcosa...senza saperlo di preciso.
Il mio è un errare, nel senso più ampio di sbaglio e movimento, una imperfetta commistione di entrambe le parole.
Cammino, il rumore dei miei passi a tenermi compagnia, il suono della mia voce che intona involontaria una canzone...
Le parole de “la cura” riecheggiano per le strade vuote, fregandosene delle anime barricate dietro le persiane serrate...
I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi.
La bonaccia d'agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.
Splendida immagine.
Passione e dolcezza nella sua accezione più intima.
Poesia da condividere, come mani che si cercano, bisognose di trovarsi, di afferrarsi, bocche dischiuse, un tocco leggero, timido e tremante...
La passione, il desiderio, l'incertezza della seduzione.
La cerco per le strade buie, deserte...
Cerco me stesso.
E non mi trovo.
Aspro,
se chiudo gli occhi,
è il sapore che avverto,
nostalgico e dolorante,
incompleto,incompiuto
destino fasullo
fato di se stesso
schiavo incatenato
morte che
su cosce lunghe cammina
Non esisti, seppur troppo
sei viva
di un sol colpo,
potessi,
ti priverei d'essenza
annichilendoti,
distruggendoti...
perdendoti.
domenica 3 febbraio 2008
Silenzio
Ghiaccio affilato,tagliente
lascia su carni
il ricordo soltanto
di ferite che mai,
di sanguinar copiose,
avran pace.
Cremisi la lama,
nel suo vagar crudele
e profondo,
di glorioso sadismo
stremato,
tortura gelida
non trovi calore
dall'umore versato,
ma anzi ingordo
ti nutri
Penoso e insensato,
dal rancore rappreso,
null'altro ti resta
se non continuare
a colpire
e a violare
Tutto ciò che ancor
silenzio non è.
Sogno, illusione irrealizzabile
Fragile equilibrio
Quintessenza, desiderio
Indispensabile necessità
Specchio infranto
Ogni frattura in te è sentiero
Il mio viaggio
La mia destinazione
Custode d'infinite realtà
La Domanda e la Risposta
Insieme del Tutto
e del Nulla
Come il Pulsare del sangue
mi attraversi,
come Cristalli in una lacrima
marchi il viso
Luce ed Ombra
Peccato e Redenzione
Sei il riverbero negli atomi,
vibrante di corde ed aste,
suono aspro di violino,
Musica dannata
propaga il tuo sapore
non lasciar che di te
una sola nota
resti inascoltata.
L'ennesima bottiglia
Accese la sua sigaretta.
Trasse una profonda boccata, espirò lento, con gusto.
Osservò la figura distesa tra le lenzuola del suo letto, incuriosito.Qual'era il suo nome? Elena, Francesca?Non riusciva a ricordarlo.
Non che la cosa gli importasse molto.
Ogni letto era un incidente, ogni donna un semplice corpo contro il quale infrangersi, senza pensare alle conseguenze. Nulla più che una bottiglia di whiskey, un mero strumento per affondare nell'oblio e sognare.
Sognare cosa, poi?Quel paio d'occhi che non conosceva?Il tocco di mani che non aveva mai avvertito? Si sentiva profondamente stupido ogni volta che ci pensava.
Eppure non riusciva a togliersela dalla testa.
Non trascorreva notte durante la quale non la trovasse, ossessionato, danzare tra le sue sinapsi addormentate o volteggiare davanti ai suoi occhi chiusi.
Non arrivava risveglio durante il quale un frammento della sua anima non restasse incastrata nel sogno, sporfondando nell'oblio in cui si rifugiava la sconosciuta...quasi non volesse separarsene.
Continuava a cercarla in ogni sguardo, in ogni sorriso, sui muri scarabocchiati e tra le nuvole dei giorni di pioggia, ma lei sfuggiva. Sempre.
Talvolta s'illudeva, credeva che gli occhi fossero quelli giusti, le labbra di quel tono di rosso
così unico da appartenere a lei soltanto...per ritrovarsi in un letto, su di un corpo che non aveva il suo profumo, il suo sapore.
Una semplice bottiglia di whiskey.
Come la ragazza accanto a lui.
Si rimise in piedi, il suono del respiro addormentato della ragazza a fargli compagnia, indossando silenziosamente gli abiti gettati sul pavimento.
Chiuse la porta alle sue spalle, la brezza fredda del mattino ad accarezzargli il viso mentre s'incamminava solitario lungo la strada deserta.
"Dove sei?" le chiese, le parole sussurrate appena "Dove sei..."
sabato 2 febbraio 2008
La Bestia dentro
L'uomo finì a terra con un tonfo sordo, privo di sensi.
L'impatto con l'asfalto avrebbe aggiunto qualche frattura a quelle già collezionate nel corso del combattimento, ma la vita aveva cominciato a scorrergli davanti agli occhi nell'istante stesso in cui il montante spaccò la sua mascella.
Marco respirava con fatica, il fiato corto ed il costato dolente, ogni singolo battito del cuore un inferno incandescente, la vista appannata, i suoni ovattati.
La folla delirante raccolta in quello sperduto parcheggio sotterraneo urlava violenta, lo osannava, lo incitava a finire il lavoro.
Fece ricorso a quel misero rimasuglio di energia che gli restava in corpo, costrinse le sue gambe a reggerlo mentre alzava i pugni al cielo, quelle mani tatuate con le parola “Mors” sulla destra ed i caratteri di “Vita” sulla sinistra.
Un eco si alzò univoco, quasi fosse una sola voce.
“MORS MORS MORS” le parole inondavano le sue orecchie, impedendogli di udire il rantolo dell'uomo sul cemento, di pensare a quanto avrebbe fatto tra un istante.
Afferrò l'uomo per i capelli, sollevando la testa insanguinata , puntando i suoi occhi tumefatti dai troppi colpi.
“Mors” urlò sovrastando la voce degli astanti mentre il pugno destro affondava in un cranio già fratturato.
“non lo farò mai più” disse a se stesso, bisbigliando, cadendo svenuto sopra quel corpo che aveva appena ammazzato “non lo farò mai più”.
venerdì 1 febbraio 2008
Vaneggiamenti d'inverno
L'amarezza ti sorprende quando meno te l'aspetti.
S'insinua, ti scruta, cerca ogni piccola crepa nel tuo cervello per farne una breccia, per entrarti dentro e divorarti dall'interno.
E' quell'amarezza che non comprendi, che è.
Basta. Fine. Stop.
Grande affare, eh?
E' proprio lei, quell'amarezza che ormai hai imparato a conoscere, amabile compagna di sbronze e nottate di sesso, quell'amante sincera che ti morde le carni e spara dritto al cuore quel che pensa.
E' quella stronza che hai imparato ad amare ogni volta che bussa all'uscio di casa, bagnata di pioggia, tremante, lo sguardo supplicante tenerezze...come resistere a questa dolce puttana, resistere a lei che mi fotte con le sue lusinghe, esaltandomi nelle carezze che anelo, solo per poi frustarmi e pugnalarmi con le sue labbra?
E' lei, l'amarezza, null'altro che morbo dell'anima.
E m'affligge come fosse una piaga, senza cure e solo danno.
E' l'amarezza senza ragione, o forse la consapevolezza del tempo che corre.