lunedì 20 novembre 2017

Solo una notte

Era fuori da solo più di una notte, eppure già le mancava.
La peggiore delle droghe, la più fottuta dipendenza.
Sedeva sul letto, le gambe incrociate nel tentativo di meditare, vano cemo non pensare a lei per un istante.
Poteva sentire il suo profumo strofinare le lenzuola ed incollarglisi addosso, il suo respiro farsi spazio nella stanza come la brezza di una notte estiva, la sua pelle brillare nella penombra ed i suoi occhi, ancora svegli, fissarlo dal confine tra dolcezza e desiderio.
Era la sua alterazione genetica.
Le mancava. Si, cazzo se le mancava.
Eppure, eppure.
Ci fu un tempo in cui aveva vissuto senza lei. E non poteva dire male. Neppure bene.
"Cazzate, era oblio"
Sorrise nell'ascoltare il suono della propria voce riportarlo alla realtà con un ceffone.
Già, era stato non vivere: la negazione del tutto, la solitudine più nera.
Chi l'avrebbe detto mai? Incontrarla a quel diner... o, forse, incontrarla di nuovo. E rimescolare tutto una volta ancora.
Lei era sempre esistita, come un'anima ancestrale, come la predestinazione, la sua storia ricursiva, il finale ideale, l'inizio più desiderato.
Non poteva farne a meno, per questo l'aveva cercata in ogni volto, percorrendo scalzo infiniti spazi, facendosi a pezzi, svendendo frammenti di sè pur di trovare, anche solo per un istante, quello che sapeva mancargli.
Sbagliando ogni volta.
Un trillo, una vibrazione, un display che si illumina di un nome: Sirah.
Il cuore salta un battito, la mano cerca il telefono, la pressione di un tasto, l'amore in un respiro che sembra fermare il tempo.
Ci furono esplosioni dentro di lui, interi universi in collisione nel percorso tra sinapsi e cuore, facendo il giro lungo per lo stomaco.
Saltò un altro battito o due, sentì il cuore accelerare ed un formicolio agli arti, il tutto condito da un'attacco di rincoglionimento acuto che a momenti gli impediva di parlare.


sabato 18 novembre 2017

Shh, dormi

Sollevò improvvise le palpebre, uscendo lasciando a metà quel gelato al pistacchio che grondava sotto il sole estivo, mescolandosi al verde del prato.
"Gnam, mmm" furono i versi gutturali che emise stropicciandosi gli occhi.
Respirò dilatando le narici a formare il muso di un macaco, poi girandosi di lato nella speranza che il gelato fosse da qualche parte, accando a lui.
E invece.
Sirah respirava i suoi sogni con la delicatezza delle onde sul bagnasciuga, un uragano di capelli sul cuscino sprimacciato e le ossicina raccolte a gomitolo sotto un piumone mai abbastanza caldo.
 Ed era decisamente più bella di un cono al pistacchio.
Inebetito dal sonno e ancor di più dalla sua dolcezza. le si mise accanto, avvolgendola con braccia e gambe, intrecciandosi in quella posizione che avevano imparato a chiamare "la presa del calamaro".
Un sorriso gli si aprì tra le labbra al contatto col suo corpo, si fermò di scatto quando lei ebbe un brivido e sospirò quasi a svegliarsi: voleva che continuasse a sognare e, forse, voleva provare a rendere i suoi sogni ancora più belli.
Appoggiò il naso sulla sua nuca, respirando l'odore selvatico di quella stregatta che aveva fatto del loro letto la sua tana, perdendosi nel più bello dei sogni lucidi.
Posò un bacio, poi un altro, e un altro ancora. Delicatamente, senza svegliarla, coccolandola di dolcezze che la sua mente non avrebbe mai conosciuto, ma che la sua anima non avrebbe mai dimenticato.
"Xander" bofonchiò masticando troppe consonanti per risultare comprensibili ad altre orecchie se non alle sue.
"Shhh, principessa" sussurrò mieloso e sdolcinato come non mai, ma ormai il suo tasso glicemico era ben oltre i limiti consentiti dal diabete di tipo II "Dormi"
La baciò ancora, sussurrandole una canzone della quale non conosceva le parole, ma solo sillabe che suonavano dolci come tutto l'amore che c'è.
E forse era proprio quello il punto: non contavano le parole, ma la musica.

mercoledì 15 novembre 2017

Biglietto per le stelle

"Ecco"
Tirò fuori dalla tasca un rettangolo di carta bianca, stropicciato tanto quanto i suoi occhi cerchiati di nero. Pensarla gli stava rovinando il sonno.
"Che è 'sta roba?"
Sempre la solita vocetta attaccabrighe. Fece finta di nulla ed abbozzò un sorriso in risposta, mentre la temperatura interna cominciava a superare i 40.
"Un biglietto per le stelle" disse, facendo scivolare indice e pollice rivelandone un secondo "In realtà sono ben due."
Aveva l'aria soddisfatta ed il sorriso sornione di chi la sa lunga. A lei sembrava semplicemente e adorabilmente goffo.
Lei lo guardò in risposta, strizzando gli occhi come a cercare di vedere chiaro un'immagine sfocata.
"Eh? Ah. Mi sembrano solo due pezzi di carta"
Sospirò lasciando cadere le spalle come se Netwon in persona le stesse schiacciando dall'alto.
"Appunto. E sono bianchi. E sono due" disse sventolandoglieli in faccia, solleticandole il naso.
"Daiiii" sbuffò allontanandoli con la mano.
Sorrise in risposta, incapace di fare altro, interrompendosi congelato quasi lo avessero immerso nell'azoto liquido.
Era bella, diamine quanto era bella.
E lui un cretino.
"Quindi, che ci facciamo con questi fogli bianchi?"
Xander restò un istante in silenzio. Tutto quello che aveva pensato di dire era scomparso come un fantasma all'alba, sciolto come un pupazzo di neve in una fonderia.
Si, decisamente un cretino.
"Sono da scrivere e colorare. A te gli acquerelli, a me le parole."
Woah. Questa gli era riuscita bene. Forse.
"Sono il viaggio, le tappe e la destinazione. Sono la nostra opportunità e la scelta, il punto d'incontro, la mano nella mano. Sono i nostri passi armonici, le nostre orme sulla sabbia. Sono la nostra memoria, l'assenza di rimpiati. Sono i nostri sogni distillati in progetti."
Si accorse che la voce gli moriva in gola, stringendogli le corde vocali e soffocandogli il fiato.
"Sono la nostra vita".



martedì 14 novembre 2017

Quella cosetta pelle e ossa

"Ohhhh OHHhh Ohhhh AHHHHHHhhhhh..."
Tumph.
Il seno gli cadde addosso, così come il resto delle ossicina fragili attaccate.
Ed era bello.
I capelli gli finirono in faccia, costringendo il naso ad arriciarsi e la bocca a sputacchiare impastata.
Ed era bello anche questo.
Le labbra gli si aprirono in un sorriso, tra un respiro affannato ed un altro cardiopatico, mentre lei gli scivolava accanto con la stessa grazia di un bradipo anestetizzato.
Ed era, per quanto strano, ancor più bello.
Allungò la mano, tremante dal piacere, verso la sua pelle sudata, sfiorandole appena le guance.
"Non mi toccare!" urlò, risucchiando dal naso l'ultima sillaba.
"Ma che cazz...?"
Ritirò la mano come se un coccodrillo fosse in procinto di morderla.
"Stai bene, Sirah?"
"Shhhhhh" sibilò
"Eh?"
"Shh shh shh" urlò soffiando o soffiò urlando. Non che ci stesse capendo molto, o che cogliesse la differenza.
"Oookkk"
Si girò sul fianco, ammirando il suo seno salire e scendere come la marea sul suo ventre, rimbecillito dalla bellezza dei suoi occhi chiusi.
Sorrise ancora, e se solo avesse avuto uno specchio davanti avrebbe visto l'espressione di un cammello nella stagione degli amori.
Con tutte le forze che gli restavano si protese in avanti, con il ventre che ancora pulsava, per posarle un bacio dal sapore che mai aveva avuto in bocca.
Ne sentì il calore, la vicinanza, il contatto, il fiato caldo che soffiava.
E quasi sentì il Big Bang esplodergli nel cuore.
"Non mi toccare! Non mi toccare" urlò ancora, colpendolo con un pugno che gli fece comprendere la vera natura del Big Bang.
"Ma che cazzo ti prende?" disse, portandosi le mani al viso.
Nessuna risposta giunse da quel corpo schiacciato dalla forza di gravità, se non dei "mmm" e "shh" e "fff fff" uniti ad un respiro tra il coma e la morte apparente.
Restò immobile per un istante, inarcò le sopracciglia, si grattò la testa e poi una chiappa, producendo dei sonori sgrat sgrat.
Si abbandonò sulla schiena, smuovendo l'aria nella stanza cacciandola nei propri polmoni.
Per la prima volta nella storia, un uomo avrebbe voluto fare le coccole ed una donna le rifiutava.
Wow, roba da guiness.
Oppure il mondo stava proprio cambiando.
E pensava a cosa avesse fatto di strano, di sbagliato, se non le fosse piaciuto o se, addirittura, l'avesse fatta addormentare.
Addormentare... occazzo.
La guardò con la coda dell'occhio, pronto a far finta di niente nel caso in cui fosse già più addormentata di Biancaneve dopo una scorpacciata di mele stregate.
E si vide su di un monte tibetano, con il culo al freddo, pelato, fare il bonzo perchè con le donne, forse, sarebbe stato meglio lasciar perdere. Coltivò riso e patate, imparò la cerimonia del tè e praticò il kung fu, fermandosi solo in tarda età per via della sciatica aggravata dall'umidità tibeana. Si vide vecchio, con la barba lunga, a contemplare l'infinito.
Osservava il sè pelato fumare dal cranio per la condensa volatile, quando qualcosa lo riportò alla realtà.
Era un tocco, una sensazione di calore, la pelle umida.
Un brivido gli corse lungo la schiena, una testolina chiomata si fece spazio sull'incavo tra braccio e torso, una mano salì a cercargli il petto, una gamba si accavallò alle sue ed un corpo morbido gli aderì come cera liquida.
Il fiatò gli morì in gola, incapace di altre azioni se non temporeggiargli dentro i polmoni.
E sentì quel cazzo di Big Bang esplodergli in petto, mandandogli botte di ossitocina che, lo sapeva, cazzo se lo sapeva, lo avrebbero legato anima e corpo a quella cosetta pelle e ossa rannicchiata su di lui.
"Xander..."
"Si?" rispose lui.
"Ti amo"
E lui non capì più nulla. Anzi, capì di non aver mai capito nulla, fino ad allora.
"Ti amo anche io" fu tutto ciò che riuscì a dire.



lunedì 13 novembre 2017

Icaro

Era un gioco di linee punti diffusi sul foglio bianco.
Sintesi, diceva.
Eppure.
Ancora qualcosa non tornava, a partire dall'equazione. Figurarsi il risultato.
Avrebbe voluto capire, ma non gli riusciva.
Non gli restava altro che imparare, conoscere, avere fede. Nel momento in cui aveva bisogno di forza, tutto doveva semplicemente aprire le mani e smettere di credere di essere in controllo.
Non lo era, forse non lo era mai stato.
Chissà in quale linea temporale, sospeso in quale spazio e dimensione avrebbe trovato pace.
No, proprio non riusciva a capire.
La musa davanti agli occhi appariva imperscrutabile, rivelata dal velo che aveva sempre tenuto davanti agli occhi, apparendo aliena.
Eppure l'amava, l'amava senza condizione. E con il cuore sanguinante.
Ed allora l'arte della pazienza era tutto ciò che gli restava, l'esercizio della fiducia la strategia.
Avrebbe sorriso se solo le Furie non fossero state così bastarde.
E' una ruota che gira.
Già.
"Chissà cosa accadrà domani" si disse abbandonando la testa sullo schienale del divano.
Cercò l'acqua, lievemente frizzante, per distrarsi con il freddo e le bollicine. Avrebbe voluto disperdersi nell'aria insieme al frizzare dell'acqua, diventando nulla e tutto, smettendo di domandare e cercare risposte che non sarebbero mai arrivate.

Sarebbe morto per un suo sorriso, una carezza, un'attenzione.Nulla poteva saziarlo: l'idea che aveva di amore andava ben oltre la condivisione della vita, andava oltre il corpo e la mente, dipingeva l'anima e la fondeva e la ricreava. L'amore era la ragione ed il senso, la forza e la determinazione, il fine e la partenza, battaglia infinita e eterna conquista. L'amore era ciò per cui sarebbe morto e risorto mille volte e mille altre volte ancora, seppur solo per abbandonarle un bacio sulle labbra. Era l'amore romantico dello stilnovo e l'androgino platonico

« Dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome amore »
Platone, Simposio

Intierezza, esser uno. Ma non trovava parole per spiegarlo, quasi il mondo gli avesse frantumato la mascella, strappato la lingua e sfilacciate le corde vocali. Muto e incapace di urlare, il cuore in fiamme e le viscere bruciate, non gli restavano che le ali.

Le mise sulle braccia, fatte di piume, legno e cera.
Pronto a spiccare il volo. Avrebbe volato e raggiunto il sole, avrebbe pagato il prezzo.
Avrebbe amato.






giovedì 2 novembre 2017

Adieu

Il suono del victrola accarezza i sensi come velluto, il martini bacia le mie labbra ed il suo calore mi riempie la gola, scaldandomi l'anima.
Le mon jardin d'hiver
La neve scende lenta, confondendosi col mare, tra le onde, in un jazz nostalgico.
Sorrido, le mie mani vagano alla ricerca di una bionda, il rumore di una piccola esplosione ed il fumo ed il catrame si confondono al respiro.
Ed il mio petto si alza, riempiendo i polmoni, trattenendo immobile, per un solo istante, quel fumo dentro che sa di dolce morte.
Equilibrio e pace, lo scroscio della bonaccia tra le parole che non ti ho detto mai ed il cuore che non hai visto, nell'anima che non ti ho saputo mostrare.
Era primavera il tuo sorriso, Estate il nostro letto, Autunno ogni partenza.
Inverno.
Il mondo si ferma, quello degli uomini almeno, mentre la misura di tutte le cose scorre indifferente sotto questo cielo dalle sfumature di bianco e grigio, sopra questa sabbia schizzata di bianco, portandomi a casa.
E neppure il freddo importa piu', o la sabbia che riempie i miei vestiti, o le cose che sono e che resteranno. E' stato il viaggio ad importare, che ogni incompiuto resti tale.
E la destinazione e' soltanto un inizio.
Forse.
Liberazione, questo e' certo. Da te, Nadine.

Poi la pistola, la canna contro il cuore, il grilletto ed il botto, il fuoco ed il sangue, gli occhi e il sorriso, la spiaggia e la neve, il cielo ed il mare.
Le ali.

lunedì 16 ottobre 2017

E poi un giorno ti svegli e non senti piu' nulla.
Anestetizzato e privo di forze, la voglia di attaccare la bocca ad una bionda e tirarle l'odore in un solo respiro, riempiendoti i polmoni, in attesa della botta di nicotina.
Ma non fumi piu', hai smesso.
E allora vuoi mangiare, ingozzarti di dolci e riempirti il ventre di grassi e zuccheri, fagocitando senza neppure masticare, in attesa di altre botte di dopamina.
Ma non ti ingozzi piu', hai smesso.
E allora vuoi bere, prendere il collo di quella bottiglia e cacciartelo alle labbra, scolandoti l'alcool mentre ti brucia l'esofago e lo stomaco, in attesa di un'altra botta che, questa volta, ti stordisca per bene.
Ma non lo fai, hai smesso il giorno in cui la tua gola ha accarezzato un coltello dalla parte sbagliata della lama.
E allora non sai che fare, guardi fisso il niente, ed il niente guarda te.
Poco importa che il sole splenda fuori dalla finestra o che il tempo sia ancora stranamente mite.
Poco importa chi sei o cosa vuoi.
Perche' ti accorgi di non sapere ne' l'uno, ne' l'altro, solo per poi accorgerti di non essere e di non avere.
E allora dimmi, da me che vuoi? Sono un volto allo specchio.
Vuoto come il niente.
Un'intera vita bruciata, investita male, tradito da me stesso, dalle mie scelte, da quanto di piu' importante e prezioso avessi.
Derubato.
Sconfitto.
Abbattuto.

Questa volta mi sono arreso, non ho piu' forze per rialzarmi ancora.

domenica 17 settembre 2017

La vita nelle piccole cose

Mondi distanti come stelle che hanno smesso di guardarsi.
Era tempo di accettarlo, mandarlo giu' a forza, inghiottendolo come curaro.
Era tempo di morte.
Prendeva fiato, lentamente, fissando il bianco della pagina e contando i respiri tra i battiti, smarrito.
Come erano arrivati a quel punto?
Dettagli insignificanti scivolavano tra le dita, facendo a pezzi tutto quello che insieme componevano.
Erano il primato, la luce e l'atomo, linee temporali e infinito.
Passato. Tutto cio' che restava.

Le dita premevano sui tasti, rigurgitando parole acide, bile che gli bruciava gli occhi.

Era tutto cosi' sbagliato: avevamo smesso d'essere il primato.

Assurdo.

Morto.

Fu.

La vita nelle piccole cose.

martedì 15 agosto 2017

Appuntamento al Diner

"Posso?" Cadde dal treno di pensieri, direttamente con il culo per aria.
"Umh?" riusci' a bofonchiare appoggiando la tazza di caffe' fumante.
"Posso sedermi? E' libero?"
Scosto' i le parole davanti agli occhi, facendo lo spazio necessario a mettere a fuoco la la voce di donna che gli si parava davanti.
"Ah, si, certo. Prego" bofonchio' togliendo lo zaino dalla sedia del diner.
Dovette alzare lo sguardo di molto per riuscire a scorgerle la testa e quel cappello dai pon pon rossi. Aveva un sorriso grande ed occhi come un cielo prima della neve, i toni delle olive sulla pelle ed una punta di rosso sul naso a ricordarle che fuori faceva un freddo maiale. E aveva uno strano odore (un profumo, in realta', ma lui non era bravo con le parole) che sapeva di campo in fiore e acqua di mare shakerato bene e servito ghiacciato. Si mise comoda, gettando il suo zainetto tra le gambe del tavolo e quelle del tizio buffo seduto davanti a lei.
"Si, lo so, ci sono altri posti liberi" disse afferrando il menu "Pero' perche' andare in luoghi pieni di gente per non incontrare la gente?"
Il sorriso e lo sguardo dolcemente autistico della ragazza riempirono il quel poco piu' di mezzo metro di tavolo che li separava, ingombrante come una foca monaca nella gabbia di un canarino.
La guardo', inarco' il sopracciglio destro quasi fino a toccare l'attaccatura dei capelli e poi si stropiccio' le palpebre facendo faccette strane.
"Hellooo, c'e' nessuno? Hai gia' assaggiato il caffe'? Io di solito prendo il the, a meno che l'alternativa sia particolarmente buona, cosa che non accade mica sempre. Quando proprio sei fortunata, capiti in uno di quei diner in cui credono ancora che coccolare le anime in pena che entrano sia la missione della loro vita, ed allora ti abbracciano con il profumo di un bel caffe' fumante, magari accarezzandoti con una deliziosa fetta di torta di mele calda -yum- , ma e' davvero raro trovarne uno cosi'"
La fisso' ancora una volta, in silenzio. Corrugo' le labbra, arricciandole, mentre il sopracciglio sinistro dava il cambio a quello destro.
"Il caffe' e' decente, ma se ti aspetti quello cacato dal culo di un felino resterai delusa"
Le mani piombarono sul tavolo, facendo saltare la tazza insieme a schizzi in ordine sparso e producendo un sonoro sbam fin troppo esagerato per delle manine cosi' delicate. Gli occhi le si spalancarono come quelli di un bambino davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli mentre la bocca si apriva in una grossa o.
"Hai assagiato il kopi luwak? Fantastico vero? Ha un sapore cosi' unico, mi piace un sacco!" ci fu un istante di pausa, evidenziato da un tentativo mal riuscito di mordersi le labbra. "E comunque e' uno zibetto" sussurro' appena, trasformando gli occhioni da abbaglianti in luci di posizione.
Lui, dal canto suo, si trattenne dal mandarla al paese dello zibetto.
"No, mai. Mi fa un po' senso"
"Allora e' deciso: caffe e torta di mele calda" strillo' con lo stesso tono di una bambina pronta per Disneyland. La cameriera, una signora dalle labbra come un culo di gallina con le emorroidi (e vecchia non a sufficienza da esser sorda) si avvicino' alla ragazza, sorridendole sdentata mentre le versava del caffe' vulcanico in una tazza.
"Dammi qualche istante, tesoro, e ti porto la tua torta fumante"
Le sorrise compiaciuta, stringendo le spalle in un sospiro che sarebbe stato bene in una sitcom americana, poi prese la tazza con entrambe le mani e la portò alla bocca sorseggiando rumorosamente.
"Xander". Un filo di voce, poco più di un sussurro fermato da un colpo di tosse per del caffè andato di traverso.
Lei scoppiò a ridere aspirando dalla bocca, quasi a soffocare, emettendo uno stridio che sembrava provenire da una cavalla asmatica e zoppa appena inciampata: non una visione che ben si sposava con le linee delicate del suo volto.
"Grazie" disse asciugandosi la bocca ed il delirio di schizzi sul tavolo "molto gentile"
Lei portò una mano alla bocca, spalancando gli occhi, sforzando di non ridere.
"Sirah"
Non riuscì a finire di pronunciare il suo nome che dalla h muta uscì un altro raglio che sentirono fino per tutto il diner.
"Perdonami, ma sei veramente ridicolo!" e riprese a ridere come la cavalla zoppa di prima che, stavolta, rotolava rovinosamente da un dirupo.
"Non fai proprio venire voglia di parlare, sai? Anzi." tirò fuori dalla tasca delle banconote stropicciate e degli spiccioli rotolanti, lanciandoli sul tavolo "Arrivederci. Anche no".
Si alzò, intento a sollevare lo zaino. Una mano afferrò il suo polso, calda, morbida, delicata come un cuscino dopo una notte insonne. Fissò la ragazza, trovando un gatto dagli occhi grandi al posto del somaro ragliante. Stronza.
"Scusa, parlo a caso, ma non era per male: sei ridicolo in senso positivo!"
Un grosso punto interrogativo gli si dipinse sulla fronte.
"Ridicolo in senso positivo? Ma sei seria? Dai, che devo andare" disse ritraendo la mano. E pentendosene nello stesso istante.
"Aspetta, porco cane."
Nel diner scese il silenzio (ed anche un po' del gelo invernale si fece spazio tra i presenti, entrando direttamente dalla porta sul retro).
"Capiscimi! Intendo dire che sei stato divertente, buffo. Insomma, mi hai divertito, mica è una cosa brutta. Poi, io non sono brava con le parole."

(continua)