mercoledì 13 febbraio 2019

Crocicchi


La lama aprì un la carne del palmo con un bruciore che gli fece urlare le sinapsi come le sirene di un’ambulanza. Nei film sembrava sempre così facile ed indolore, mentre invece faceva un male cane. 
Cacciò una bestemmia mentre un intero fiotto di sangue denso e quasi nero colava dalla mano destra nel braciere, dritto dritto su ciocche di capelli, una croce, frattaglie animali ed erbe dai nomi assurdi che solo Mama Zula riusciva a pronunciare senza intrecciarsi la lingua.
Si mise a cantilenare parole a metà tra il latino ed un B-movie, sentendosi come Ash alle prese con il Necronomicon, concludendo il tutto con un “amen”. 
E poi niente, neppure un soffio di vento, i grilli non smisero di rompere con il loro equivalente di “scopareeeee”, gli uccelli notturni neppure e nulla, ma proprio nulla, di strano accadde. 
“Ma sono decisamente un coglione” uscì dalla sua bocca insieme ad un sospiro ed allo scendere delle spalle.
“Effettivamente”
L’anima quasi gli uscì fori dal corpo insieme ad un gridolino stridulo degno di una cheerleader in Scream
Un uomo in completo nero, con tanto di tuba e bastone, pallido come un cencio gli stava alle spalle, guardandolo incuriosito
“Il taglio” indicò la mano del ragazzo agitando lieve la punta del bastone “Brutta roba, spero non ti sia lesionato un tendine. Temo ci vorranno dei punti”
Tolse dalla pochette un fazzoletto bianco, tenendolo tra indice e pollice, e lo porse al ragazzo cercando di tenere la maggior distanza possibile. Il tutto con una malcelata smorfia di schifo che gli correva tra gli angoli della bocca.
Il fazzoletto gli cadde sulla mano, macchiandosi di rosso e ferro. Non riuscì a proferir parola, ogni capacità cerebrale s’interruppe di botto, quasi gli fossero saltati dei fusibili per la troppa tensione. 
“Poi, a voler puntualizzare” aggiunse il cadavere in tuxedo “una robetta superficiale, giusto qualche goccia, avrebbe fatto il suo lavoro. Siete sempre esagerati, voi umani”
L’unica cosa che realizzò fu che, nel suo caso, Fight or Flight non trovava applicazione, lasciando spazio ad una terza opzione: cagarsi nelle mutande.
“Ehy, mi hai chiamato tu. Un po’ di dignità, figliolo”
Il ragazzo biascicò una serie di mugugni degni di un bimbo che mette i dentini.
“Dal mutismo al mugugno è già un progresso” fece un passo in avanti e si abbassò sulle ginocchia, mettendosi muso a muso “Avresti potuto recuperare con un Klaatu Barada Ncoughcoughcough” bisbigliò l’Uomo in Neroma credo di non potermi aspettare tanto da te”
Si rimise in piedi appoggiandosi al bastone, poi scosse la polvere dalle scarpe, sfoderando un sorriso da venditore di auto usate.
“Piacere di conoscerti, George. Cosa posso fare per te?”

giovedì 11 ottobre 2018

Trasmigrazione

Quante cose sono cambiate.
Meno colore nei capelli, fatta eccezione per un tocco di grigio, e forse qualche pelo in meno causa calvizie mimetizzata da stilosa rasatura. Ed ho tanto di graffi laterali, giusto per sentirmi piu' peculiar e young.
Evvai di inglesismi, ritrovato nel Nuovo Continente, guardando il cielo di New York dalla mia stanza mentre il caffe' fuma dalla mia tazza, urlandomi nelle narici il profumo italiano.
Quante cose sono cambiate, dal vecchio al nuovo, dall'inverno al temperato, dal verde al cemento salmastro che puzza di Hudson ed Atlantico. 
Odore di Porto, non il vino, che ti monta in testa lo stesso, rincoglionendoti coi gabbiani ed oltre 8 milioni di motivi dei quali non conosci i nomi, ma che esistono la' fuori. Come te.
Quante cose sono cambiate, abbandonato la custodia e liberato il corpo con sudore e bestemmie, sciolto il vecchio per lasciare spazio all'immagine allo specchio, soda e fibrosa, che mangia un cazzo e sputa sangue sul parquet.
Ed ho ritrovato me stesso, in pace eppure in battaglia, a riconquistare quanto dovuto non per nascita, ma per desiderio. 
E sono io, piu' forte e migliore di quanto mai sia stato, consapevole di essere un uomo tra tanti, non migliore o peggiore, ma che si ispira agli optimates ed aspira al futuro.
Transumanista e curioso, trascendere l'obiettivo, conoscenza la via, determinazione la forza.
Che meraviglioso viaggio.

lunedì 20 novembre 2017

Solo una notte

Era fuori da solo più di una notte, eppure già le mancava.
La peggiore delle droghe, la più fottuta dipendenza.
Sedeva sul letto, le gambe incrociate nel tentativo di meditare, vano cemo non pensare a lei per un istante.
Poteva sentire il suo profumo strofinare le lenzuola ed incollarglisi addosso, il suo respiro farsi spazio nella stanza come la brezza di una notte estiva, la sua pelle brillare nella penombra ed i suoi occhi, ancora svegli, fissarlo dal confine tra dolcezza e desiderio.
Era la sua alterazione genetica.
Le mancava. Si, cazzo se le mancava.
Eppure, eppure.
Ci fu un tempo in cui aveva vissuto senza lei. E non poteva dire male. Neppure bene.
"Cazzate, era oblio"
Sorrise nell'ascoltare il suono della propria voce riportarlo alla realtà con un ceffone.
Già, era stato non vivere: la negazione del tutto, la solitudine più nera.
Chi l'avrebbe detto mai? Incontrarla a quel diner... o, forse, incontrarla di nuovo. E rimescolare tutto una volta ancora.
Lei era sempre esistita, come un'anima ancestrale, come la predestinazione, la sua storia ricursiva, il finale ideale, l'inizio più desiderato.
Non poteva farne a meno, per questo l'aveva cercata in ogni volto, percorrendo scalzo infiniti spazi, facendosi a pezzi, svendendo frammenti di sè pur di trovare, anche solo per un istante, quello che sapeva mancargli.
Sbagliando ogni volta.
Un trillo, una vibrazione, un display che si illumina di un nome: Sirah.
Il cuore salta un battito, la mano cerca il telefono, la pressione di un tasto, l'amore in un respiro che sembra fermare il tempo.
Ci furono esplosioni dentro di lui, interi universi in collisione nel percorso tra sinapsi e cuore, facendo il giro lungo per lo stomaco.
Saltò un altro battito o due, sentì il cuore accelerare ed un formicolio agli arti, il tutto condito da un'attacco di rincoglionimento acuto che a momenti gli impediva di parlare.


sabato 18 novembre 2017

Shh, dormi

Sollevò improvvise le palpebre, uscendo lasciando a metà quel gelato al pistacchio che grondava sotto il sole estivo, mescolandosi al verde del prato.
"Gnam, mmm" furono i versi gutturali che emise stropicciandosi gli occhi.
Respirò dilatando le narici a formare il muso di un macaco, poi girandosi di lato nella speranza che il gelato fosse da qualche parte, accando a lui.
E invece.
Sirah respirava i suoi sogni con la delicatezza delle onde sul bagnasciuga, un uragano di capelli sul cuscino sprimacciato e le ossicina raccolte a gomitolo sotto un piumone mai abbastanza caldo.
 Ed era decisamente più bella di un cono al pistacchio.
Inebetito dal sonno e ancor di più dalla sua dolcezza. le si mise accanto, avvolgendola con braccia e gambe, intrecciandosi in quella posizione che avevano imparato a chiamare "la presa del calamaro".
Un sorriso gli si aprì tra le labbra al contatto col suo corpo, si fermò di scatto quando lei ebbe un brivido e sospirò quasi a svegliarsi: voleva che continuasse a sognare e, forse, voleva provare a rendere i suoi sogni ancora più belli.
Appoggiò il naso sulla sua nuca, respirando l'odore selvatico di quella stregatta che aveva fatto del loro letto la sua tana, perdendosi nel più bello dei sogni lucidi.
Posò un bacio, poi un altro, e un altro ancora. Delicatamente, senza svegliarla, coccolandola di dolcezze che la sua mente non avrebbe mai conosciuto, ma che la sua anima non avrebbe mai dimenticato.
"Xander" bofonchiò masticando troppe consonanti per risultare comprensibili ad altre orecchie se non alle sue.
"Shhh, principessa" sussurrò mieloso e sdolcinato come non mai, ma ormai il suo tasso glicemico era ben oltre i limiti consentiti dal diabete di tipo II "Dormi"
La baciò ancora, sussurrandole una canzone della quale non conosceva le parole, ma solo sillabe che suonavano dolci come tutto l'amore che c'è.
E forse era proprio quello il punto: non contavano le parole, ma la musica.

mercoledì 15 novembre 2017

Biglietto per le stelle

"Ecco"
Tirò fuori dalla tasca un rettangolo di carta bianca, stropicciato tanto quanto i suoi occhi cerchiati di nero. Pensarla gli stava rovinando il sonno.
"Che è 'sta roba?"
Sempre la solita vocetta attaccabrighe. Fece finta di nulla ed abbozzò un sorriso in risposta, mentre la temperatura interna cominciava a superare i 40.
"Un biglietto per le stelle" disse, facendo scivolare indice e pollice rivelandone un secondo "In realtà sono ben due."
Aveva l'aria soddisfatta ed il sorriso sornione di chi la sa lunga. A lei sembrava semplicemente e adorabilmente goffo.
Lei lo guardò in risposta, strizzando gli occhi come a cercare di vedere chiaro un'immagine sfocata.
"Eh? Ah. Mi sembrano solo due pezzi di carta"
Sospirò lasciando cadere le spalle come se Netwon in persona le stesse schiacciando dall'alto.
"Appunto. E sono bianchi. E sono due" disse sventolandoglieli in faccia, solleticandole il naso.
"Daiiii" sbuffò allontanandoli con la mano.
Sorrise in risposta, incapace di fare altro, interrompendosi congelato quasi lo avessero immerso nell'azoto liquido.
Era bella, diamine quanto era bella.
E lui un cretino.
"Quindi, che ci facciamo con questi fogli bianchi?"
Xander restò un istante in silenzio. Tutto quello che aveva pensato di dire era scomparso come un fantasma all'alba, sciolto come un pupazzo di neve in una fonderia.
Si, decisamente un cretino.
"Sono da scrivere e colorare. A te gli acquerelli, a me le parole."
Woah. Questa gli era riuscita bene. Forse.
"Sono il viaggio, le tappe e la destinazione. Sono la nostra opportunità e la scelta, il punto d'incontro, la mano nella mano. Sono i nostri passi armonici, le nostre orme sulla sabbia. Sono la nostra memoria, l'assenza di rimpiati. Sono i nostri sogni distillati in progetti."
Si accorse che la voce gli moriva in gola, stringendogli le corde vocali e soffocandogli il fiato.
"Sono la nostra vita".



martedì 14 novembre 2017

Quella cosetta pelle e ossa

"Ohhhh OHHhh Ohhhh AHHHHHHhhhhh..."
Tumph.
Il seno gli cadde addosso, così come il resto delle ossicina fragili attaccate.
Ed era bello.
I capelli gli finirono in faccia, costringendo il naso ad arriciarsi e la bocca a sputacchiare impastata.
Ed era bello anche questo.
Le labbra gli si aprirono in un sorriso, tra un respiro affannato ed un altro cardiopatico, mentre lei gli scivolava accanto con la stessa grazia di un bradipo anestetizzato.
Ed era, per quanto strano, ancor più bello.
Allungò la mano, tremante dal piacere, verso la sua pelle sudata, sfiorandole appena le guance.
"Non mi toccare!" urlò, risucchiando dal naso l'ultima sillaba.
"Ma che cazz...?"
Ritirò la mano come se un coccodrillo fosse in procinto di morderla.
"Stai bene, Sirah?"
"Shhhhhh" sibilò
"Eh?"
"Shh shh shh" urlò soffiando o soffiò urlando. Non che ci stesse capendo molto, o che cogliesse la differenza.
"Oookkk"
Si girò sul fianco, ammirando il suo seno salire e scendere come la marea sul suo ventre, rimbecillito dalla bellezza dei suoi occhi chiusi.
Sorrise ancora, e se solo avesse avuto uno specchio davanti avrebbe visto l'espressione di un cammello nella stagione degli amori.
Con tutte le forze che gli restavano si protese in avanti, con il ventre che ancora pulsava, per posarle un bacio dal sapore che mai aveva avuto in bocca.
Ne sentì il calore, la vicinanza, il contatto, il fiato caldo che soffiava.
E quasi sentì il Big Bang esplodergli nel cuore.
"Non mi toccare! Non mi toccare" urlò ancora, colpendolo con un pugno che gli fece comprendere la vera natura del Big Bang.
"Ma che cazzo ti prende?" disse, portandosi le mani al viso.
Nessuna risposta giunse da quel corpo schiacciato dalla forza di gravità, se non dei "mmm" e "shh" e "fff fff" uniti ad un respiro tra il coma e la morte apparente.
Restò immobile per un istante, inarcò le sopracciglia, si grattò la testa e poi una chiappa, producendo dei sonori sgrat sgrat.
Si abbandonò sulla schiena, smuovendo l'aria nella stanza cacciandola nei propri polmoni.
Per la prima volta nella storia, un uomo avrebbe voluto fare le coccole ed una donna le rifiutava.
Wow, roba da guiness.
Oppure il mondo stava proprio cambiando.
E pensava a cosa avesse fatto di strano, di sbagliato, se non le fosse piaciuto o se, addirittura, l'avesse fatta addormentare.
Addormentare... occazzo.
La guardò con la coda dell'occhio, pronto a far finta di niente nel caso in cui fosse già più addormentata di Biancaneve dopo una scorpacciata di mele stregate.
E si vide su di un monte tibetano, con il culo al freddo, pelato, fare il bonzo perchè con le donne, forse, sarebbe stato meglio lasciar perdere. Coltivò riso e patate, imparò la cerimonia del tè e praticò il kung fu, fermandosi solo in tarda età per via della sciatica aggravata dall'umidità tibeana. Si vide vecchio, con la barba lunga, a contemplare l'infinito.
Osservava il sè pelato fumare dal cranio per la condensa volatile, quando qualcosa lo riportò alla realtà.
Era un tocco, una sensazione di calore, la pelle umida.
Un brivido gli corse lungo la schiena, una testolina chiomata si fece spazio sull'incavo tra braccio e torso, una mano salì a cercargli il petto, una gamba si accavallò alle sue ed un corpo morbido gli aderì come cera liquida.
Il fiatò gli morì in gola, incapace di altre azioni se non temporeggiargli dentro i polmoni.
E sentì quel cazzo di Big Bang esplodergli in petto, mandandogli botte di ossitocina che, lo sapeva, cazzo se lo sapeva, lo avrebbero legato anima e corpo a quella cosetta pelle e ossa rannicchiata su di lui.
"Xander..."
"Si?" rispose lui.
"Ti amo"
E lui non capì più nulla. Anzi, capì di non aver mai capito nulla, fino ad allora.
"Ti amo anche io" fu tutto ciò che riuscì a dire.



lunedì 13 novembre 2017

Icaro

Era un gioco di linee punti diffusi sul foglio bianco.
Sintesi, diceva.
Eppure.
Ancora qualcosa non tornava, a partire dall'equazione. Figurarsi il risultato.
Avrebbe voluto capire, ma non gli riusciva.
Non gli restava altro che imparare, conoscere, avere fede. Nel momento in cui aveva bisogno di forza, tutto doveva semplicemente aprire le mani e smettere di credere di essere in controllo.
Non lo era, forse non lo era mai stato.
Chissà in quale linea temporale, sospeso in quale spazio e dimensione avrebbe trovato pace.
No, proprio non riusciva a capire.
La musa davanti agli occhi appariva imperscrutabile, rivelata dal velo che aveva sempre tenuto davanti agli occhi, apparendo aliena.
Eppure l'amava, l'amava senza condizione. E con il cuore sanguinante.
Ed allora l'arte della pazienza era tutto ciò che gli restava, l'esercizio della fiducia la strategia.
Avrebbe sorriso se solo le Furie non fossero state così bastarde.
E' una ruota che gira.
Già.
"Chissà cosa accadrà domani" si disse abbandonando la testa sullo schienale del divano.
Cercò l'acqua, lievemente frizzante, per distrarsi con il freddo e le bollicine. Avrebbe voluto disperdersi nell'aria insieme al frizzare dell'acqua, diventando nulla e tutto, smettendo di domandare e cercare risposte che non sarebbero mai arrivate.

Sarebbe morto per un suo sorriso, una carezza, un'attenzione.Nulla poteva saziarlo: l'idea che aveva di amore andava ben oltre la condivisione della vita, andava oltre il corpo e la mente, dipingeva l'anima e la fondeva e la ricreava. L'amore era la ragione ed il senso, la forza e la determinazione, il fine e la partenza, battaglia infinita e eterna conquista. L'amore era ciò per cui sarebbe morto e risorto mille volte e mille altre volte ancora, seppur solo per abbandonarle un bacio sulle labbra. Era l'amore romantico dello stilnovo e l'androgino platonico

« Dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome amore »
Platone, Simposio

Intierezza, esser uno. Ma non trovava parole per spiegarlo, quasi il mondo gli avesse frantumato la mascella, strappato la lingua e sfilacciate le corde vocali. Muto e incapace di urlare, il cuore in fiamme e le viscere bruciate, non gli restavano che le ali.

Le mise sulle braccia, fatte di piume, legno e cera.
Pronto a spiccare il volo. Avrebbe volato e raggiunto il sole, avrebbe pagato il prezzo.
Avrebbe amato.