sabato 31 maggio 2008

Cornflake girl



Un passo appena e le sue dita si trovarono ad accarezzare il vuoto.
Il vento le solleticava gli alluci sporchi d'asfalto e terra, provocandole un leggero brivido che risaliva attraverso una vestaglietta logora, macchiata qua e là dal bianco del cotone.
Capelli lunghi e neri ricadevano ribelli lungo le spalle, agitandosi contro il suo viso, quasi rifiutassero ogni forma d'ordine non dettata dal caos, mentre due piccoli seni si sollevavano lenti sotto la vestaglia, in un respiro profondo, quasi sollevato.
Un sospiro, ed il colore del cielo si spalancò improvviso tra le sue palpebre, rivelando iridi del color del ghiaccio e della neve, occhi spauriti quasi avessero paura di sciogliersi anche loro al primo raggio di sole.
La bellezza della pelle candida e liscia vinceva gli strati di sporco che la ricoprivano, oscurata appena da un rivoletto rosso che ricadeva lungo la guancia.
Era ferita e dolorante.
Qualcuno la seguiva.
L'uomo con la cicatrice.
Ma non l'avrebbe presa, non sarebbe riuscito a riportarla a casa.
Lei odiava casa, la gente era cattiva con lei: le davano sempre quelle pillole da ingoiare, quelle stesse pillole che le toglievano la forza di pensare.
Di vivere.
Allargò le braccia appena, sollevandole al cielo, illudendosi fossero ali con le quali toccare il Cielo.
Si lasciò cadere, abbracciando il vento.

venerdì 30 maggio 2008

Quello che le donne non dicono




Siete fragili.
Occultate, scavate buche profonde nelle vostre anime, lontano da occhi indiscreti.
Errori, cattiverie, indecisioni, insicurezze.
Tutta merce avariata che giace nel profondo.
E poi coprite, coprite, nascondendo, sigillando.
Un tocco di matita, un pizzico di ombretto, quel gloss sulle labbra...
e di voi non resta che perfezione.
Splendide, splendide.
Siete meraviglia.
Ed io vi amo.
Siete il tormento e la dannazione.
Il vero peccato originale.
Non vi si può resistere, siete il sangue che pulsa nelle vene,
il pensiero occulto e pressante.
La melodia che, in sottofondo ad ogni azione, si propaga costante.
Ogni cosa è per voi.
Siete la forza.

giovedì 29 maggio 2008

Un segno dal profondo...


Song lyrics | You Keep Givin' Me lyrics

Piove.
Torino è una grande guancia lungo la quale scivolano le lacrime del Cielo.
Ho pregato.
Molto.
Nella Bibbia è scritto di chiedere il supporto nella preghiera: è propiro quello che sto facendo qui, adesso, sebbene forse non sia la sede più appropriata.
Chiedo a voi, a chiunque dovesse capitare tra queste righe scritte in fretta, di lasciare come segno del vostro passaggio una piccola preghiera per me.
Anche se non credete davvero in Cristo.
Provate solo a scrivere dal cuore.
Io pregherò per voi.

Vi sono grato dal profondo dell'anima.

Che Dio sia con tutti noi.

martedì 27 maggio 2008

Tango!




Emozione, eleganza, seduzione...
Corpi e gambe ed occhi, sguardi intrecciati.
Fuoco ed argento vivo.
Mani che si sfiorano, scivolando forti e delicate, seta su fianchi e dita intraprendenti.
Ed un passo, via, lontana.
Torna a me, lasciati avvolgere ancora, attacca, fronteggiami, arretra.
Danza con me, combatti, non arrenderti.
Non risparmiarti.
Io non lo farò.
Ed allora guerra!
Un altro passo, volteggi lontana, la mia mano ti ferma.
Splendida creatura, non ti lascio fuggire.
Così meravigliosamente Femmina...
Scivola tra le mie braccia, abbandonati, mio equilibrio instabile!
Le tue mani aperte, il mio petto, il tuo seno contro le mie spalle...
Poggia il capo appena, stringi pugni, affonda unghie.
Afferrami.
Volteggia, adesso!
Bramo i tuoi occhi, la sfida.
La tua fronte, la mia, mani strette, la tua gamba e la mia vita.
Il tuo respiro.
Profuma, Femmina, sensuale e letale.
Sei la Rosa.
E le spine.

domenica 25 maggio 2008

Gone without goodbye


Song lyrics | Gone Without Goodbye lyrics


Anche oggi non accenderò candele.
Ti dedico una canzone che ho scoperto pochi istanti fa.
"Andato via senza un saluto"...esattamente come te.
A distanza di oltre sette anni, ho ancora bisogno di te.
Ma tu non ci sei, te ne sei andato senza un saluto.
Ti odio.
Pregherò per te, amico mio.
Ti voglio bene.

sabato 24 maggio 2008

Memento

Ho bisogno d'amore!
Diamine, dannazione, Giuda!
Doveva cogliermi improvvisa, questa necessità, se la prendesse il Signore!
Non la sopporto, non resisto, è più forte di me, mi esplode in petto, urla isterica, ingorda e straziata questa fottutissima voglia d'amore.
Non la capisco, è di carne e sangue, di fuoco e ghiaccio, passione e tenerezza insieme, insensato pianto ed alienata risata, un turbine violento ed iracondo, furioso...
Arriva, passa, sconquassa e riparte.
Ed ancora e ancora e ancora!
Mi manca Lei.
Chi è poi, Lei?
E' Lei soltanto, che domande. E' Lei la domanda, il cruccio, l'interrogativo e l'esclamativo.
Si, l'esclamativo dopo ogni mia espressione, lo stupore quando è accanto, la meraviglia dello sguardo che non conosco ma che ancora incendia.
Pazzo, pazzo. Sono pazzo.
Di passione e tristezza, bisogno ed arrogante desiderio, tenerezza e morsi, denti e labbra.
'Fanculo, amore mio.
Come sempre non ci sei, eppur ti bramo.
Non tu, signorina, ma Lei.
Chi sarà mai?
Ecco la domanda.
Non lo so!
Ecco l'esclamativo.
Cazzo, poesia da due soldi, prosa rinsecchita che affolla sterile!
Inutile ti accalchi tra le tempie, pulsi ancora e te ne fotti che i miei timpani possano esplodere, fai tutto quello che non serve, risparmiandoti i dettagli importanti.
Ma non sai capire, non hai mai saputo farlo.
Ed allora a che serve la rabbia?
Resta il desiderio di avere qualcosa che non si ha, che si credeva di avere.
Che ci si Illudeva di avere.
Sei come i tre punti... una sospensione.
Ed io sospeso con il naso per aria continuo a restare, l'idiota di turno che insegue un sogno illudendosi che saprà saziarne il bisogno più intimo e finora discreto.
Ingenuo stolto!
Ecco un altro esclamativo.
Ma non sono mai abbastanza gli esclamativi, non quelli che la mia rabbia ti regalerebbe, invettiva furiosa e fragile! Come una lama di vetro sono le mie verità, taglienti ma durevoli per un solo affondo...e frantumi sanguinolenti sarebbero i soli ricordi.
Ho bisogno d'amore, e solo ora me ne accorgo.
Solo adesso lo ammetto.
Solo adesso lo vedo.

Love me like there's no tomorrow




Ero poco più che un ragazzino, molto meno che un uomo.
Uno strano ibrido anagrafico, troppo piccolo per capire davvero e troppo grande per ignorare.
Ascoltavo questa canzone, a ripetizione, sognando ad occhi aperti.
Versando lacrime.
Le mie prime lacrime.
Ricordo ancora il sapore del sale scivolare lungo le gote, nella solitudine di una camera piena di posters e giocattoli che tardavano a sparire.
Dannati peluches, li ho ancora tra i piedi.
Lei.
Sempre Lei la ragione.
Sempre Lei a divorarmi il cervello, rosicarmi l'anima.
Cambiava occhi, colore dei capelli, persino le tonalità della pelle, il sorriso.
Mi trovava, nonostante mi nascondessi.
Cazzate.
La cercavo.
Disperatamente, ossessionato, farneticante, quasi fossi il suo zelante sacerdote.
La veneravo.
Lei, sempre Lei.
Ed ogni volta un nuovo nome, nuove labbra e seni, nuovi occhi nei quali perdersi sussurrando miele...
Si, Lei. Sempre Lei.
Solo Lei, in tutte le sue incarnazioni, tutte così dannatamente diverse.
Eppure uguali.
Vaffanculo.

venerdì 23 maggio 2008

Litio



Sfatto, indelebilmente macchiato, criptico.
Incomprensibile.
Spazzatura.
Il gioco delle parti, pantomima acida ed acerba, stillicidio.
Basta.
Stanchezza è quanto resta, sudore sangue e merda a ricordar che vivo.
Come Undone.
Provo a pensare, ma è così difficile, portatemi un altro drink.
Cazzo, non bevo da una vita, forse il mio fegato ha bisogno di smettere d'esistere un po'.
Oh, delirio alcolico, quanto mi manchi!
Leggero, leggero!
Voglio volare.
No, non ho paura di morire, semplicemente non voglio.
Forse per questo corro.
Magari non mi raggiungerà mai.
Mi alleno ad arrivare tardi per il giorno del mio funerale.
Dovrò studiare l'epitaffio da recitare.
Accendo una paglia, dannata puttana che mi carezza i polmoni.
Espiro...il soffio ed il fumo, non sono che pezzi di vita che mi abbandonano.
Sono stanco, voglio riposare.
Cambiare.
Come undone.
Datemi solo un po' di litio ed un Negroni con ghiaccio.
Mi serve solo quello per recuperare l'equilibrio.
Sospeso su di una fine, tu che mi guardi da sotto.
Piangendo.
Ma solo perchè ancora non cado.
Sarà la sbornia, ma niente vertigini.
Manca l'happy end.

giovedì 22 maggio 2008

Sputando sangue e pezzi d'anima




Il calore del suo sangue andava disperdendosi nella sabbia, macchiandola del rosso intenso del cuore e della vita stessa.
Lucien giaceva disteso sulla schiena, gli occhi fissi su di una luna offuscata e fragile, il rumore della bonaccia a coprirne i respiri ansimanti e rapidi.
Il volto macchiato, un rivolo scendeva lento lungo la bocca, il risultato di una notte cominciata sotto i peggiori auspici.
"Nadine" provò a dire, aggrappandosi a quel nome, quasi fosse la sua stessa vita. Tossì, sputando sangue e pezzi d'anima.
La donna lo guardava con un lieve sorriso, carico di tristezza malcelata, gli occhi lucidi di chi non ha avuto scelta.
Appoggiò appena dita smaltate di rosso su quelle labbra macchiate, portandole lentamente alle sue, quasi volesse conservare di lui quell'essenza anelata.
Essenza che da sempre le apparteneva.
Ed una lacrima scese leggera lungo la guancia pallida, confondendosi con gocce di sangue amate, quasi anche loro volessero incontrarsi un'ultima volta.
"Nadine..." pronunciò quel nome, ancora, poco più di un flebile sussurro perso nella risacca.
Sapeva che Lei era al suo fianco, ne avvertiva il corpo caldo disteso accanto al suo , confortandolo dal freddo che lentamente s'impadroniva dei suoi sensi.
Ed era tutto ciò che potesse desiderare.
La luna era adesso null'altro che un alone scuro nel suo orizzonte, una macchia luminosa, ma non gli importava.
Non più.
Non aveva più bisogno di occhi per vedere Nadine danzare con lui, ammirare il suo sorriso addormentato, lo splendore del suo viso tra le lenzuola del loro letto...
"Ti porterò via con me, Nadine" sospirò rauco del suo sangue "Balleremo ancora, come quella notte...".
Sorrise, abbandonando il suo respiro tra le onde.
Nadine poggiò le labbra su quelle di Lucien, fredde, dischiuse in un ultimo bacio.
"Addio, Lucien" sussurrò appena, chiudendogli gli occhi "Addio".

mercoledì 21 maggio 2008

Io li chiamo progetti




Ho comprato un biglietto per Marte.
L'ho buttato in un cassetto, al riparo da occhi indiscreti.
Compresi i miei.
La vita è una dannata scelta dietro l'altra, una sventagliata di prove e decisioni, come di un mitra, che ti si ficcano nella carne.
Mutilandoti.
Devo essere un invalido di guerra, a giudicare dalle ferite.
Eppure rido.
Già...rido.
Di un riso isterico.
Sono un tiro alla fune, una maratona, spesso un'intera olimpiade.
Sono un disastro di cose da fare.
Forse sono l'incarnazione delle cose che faccio.
Vorrei essere un bohemien per non dovermi preoccupare di nulla, ma poi mi sveglio.
Grazie a Dio.
Io sono quello che sono, giusto e sbagliato, vero e falso, x ed y.
Anche z, se volessimo esagerare.
Alfa ed omega di me stesso, splendidamente incompreso anche da chi dovrebbe conoscere il prezzo del sangue.
Ma io sorrido, tanto l' Arlecchino fa "patpat" sulla spalla mentre i miei impegni prendono a calci questa cazzo di poltroncina.
No, non posso sedermi a lungo.
Ancora troppa strada.
Sorrido, preparo l'argent...
Per cosa?
Diamine, per il prezzo che dovrò pagare!

A Lullaby for you

Maledetto Alex, non dovevi farmi ascoltare questa canzone!

Non so perchè, ma quando anche voi vi ritroverete a canticchiare questo motivetto, quel caprone del mio socio diverrà una calamita per tutti i vostri improperi!


Lullaby For You -English Version- - JYONGRI

martedì 20 maggio 2008

Vangelo secondo Luca, 11.1

Originale Greco (testo di Matteo)

Πάτερ ἡμῶν ὁ ἐν τοῖς οὐρανοῖς
ἁγιασθήτω τὸ ὄνομά σου·
ἐλθέτω ἡ βασιλεία σου·
γενηθήτω τὸ θέλημά σου,
ὡς ἐν οὐρανῷ καὶ ἐπὶ τῆς γῆς·
τὸν ἄρτον ἡμῶν τὸν ἐπιούσιον δὸς ἡμῖν σήμερον·
καὶ ἄφες ἡμῖν τὰ ὀφελήματα ἡμῶν,
ὡς καὶ ἡμεῖς ἀφίεμεν τοῖς ὀφειλέταις ἡμῶν·
καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν,
ἀλλὰ ῥῦσαι ἡμᾶς ἀπὸ τοῦ πονηροῦ.
[Ὅτι σοῦ ἐστιν ἡ βασιλεία καὶ ἡ δύναμις καὶ ἡ δόξα εἰς τοὺς αἰῶνας·]
ἀμήν.

Traslitterazione:

Pater hēmōn, ho en tois ouranois
hagiasthētō to onoma sou;
elthetō hē basileia sou;
genethetō to thelēma sou,
hōs en ouranōi, kai epi tēs gēs;
ton arton hēmōn ton epiousion dos hēmin sēmeron;
kai aphes hēmin ta opheilēmata hēmōn,
hōs kai hēmeis aphiemen tois opheiletais hēmōn;
kai mē eisenenkēs hēmas eis peirasmon,
alla rhusai hēmas apo tou ponērou.
[Hoti sou estin hē basileia, kai hē dúnamis, kai hē doxa eis tous aiōnas;]
Amēn.

In Aramaico/Siriaco

ܐܰܒܽܘܢ ܕܒܰܫܡܰܝܳܐ
ܢܶܬܩܰܕܰܫ ܫܡܳܟ
ܬܺܐܬܶܐ ܡܰܠܟܽܘܬܳܟ
ܢܶܗܘܶܐ ܨܶܒܝܳܢܳܟ
ܐܰܝܟܰܢܳܐ ܕܒܰܫܡܰܝܳܐ ܐܳܦ ܒܐܰܪܥܳܐ
ܗܰܒ ܠܰܢ ܠܰܚܡܳܐ ܕܣܽܘܢܩܳܢܰܢ ܝܰܘܡܳܢܳܐ
ܘܰܫܒܽܘܩ ܠܰܢ ܚܰܘܒܰܝܢ ܘܰܚܬܳܗܰܝܢ
ܐܰܝܟܰܢܳܐ ܕܐܳܦ ܚܢܰܢ
ܫܒܰܩܢ ܠܚܰܝܳܒܰܝܢ
ܠܳܐ ܬܰܥܠܰܢ ܠܢܶܣܝܽܘܢܳܐ
ܐܶܠܳܐ ܦܰܨܳܐ ܠܰܢ ܡܶܢ ܒܺܝܫܳܐ
ܡܶܬܽܠ ܕܕܺܝܠܳܟܺ ܗܝ ܡܰܠܟܽܘܬܳܐ
ܚܰܝܠܳܐ ܘܬܶܫܒܽܘܚܬܳܐ
ܠܥܳܠܰܡ ܥܳܠܡܺܝܢ ܐܰܡܺܝܢ܀

Traduzione Latina (Vulgata)

Pater Noster qui es in caelis:
sanctificétur Nomen Tuum;
advéniat Regnum Tuum;
fiat volúntas Tua,
sicut in caelo, et in terra.
Panem nostrum
cotidiánum da nobis hódie;
et dimítte nobis débita nostra,
sicut et nos
dimittimus debitóribus nostris;
et ne nos indúcas in tentatiónem;
sed líbera nos a Malo.
Amen.

Traduzione Italiana (versione liturgica cattolica)

Padre nostro, che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà
come in cielo così in terra.
Dacci oggi
il nostro pane quotidiano,
rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo
ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
Amen

lunedì 19 maggio 2008

I'm Going Slightly Mad





Sono circondato da ombre.
Mi osservano e scrutano, alcune ridono, altre leccan le loro ferite negli angoli.
Qualcuna bestemmia ed impreca, m'insulta.
Nessuno le vede.
Tranne me.
Lucien, con la sua faccia da stronzo, si accende intanto un'altra sigaretta, una di quelle paglie delle quali avrei bisogno adesso, con quell'espressione carica di disprezzo che conosco così dannatamente bene.
Mariko, inchiodata a terra tremante, sbava in crisi d'astinenza...povera tossica.
Il Commissario se ne fotte, prende una delle bionde offerte da Lucien fumandole alla faccia mia, mentre mister M. se ne sta appollaiato sulla sbarra del letto come un fottutissimo rapace, l'aria di chi ha pazienza da vendere.
Per non parlare di quegli sgorbi informi alle loro spalle, con i volti appena abbozzati, macchiati d'inchiostro sbavato, che mugugnano e mormorano parole che non riescono a pronunciare...
Volete prender vita, vero?
Il vostro Arlecchino zompetta allegro tra i muri di questa stanza, lancia per aria libri ed appunti, ridendo isterico, canzonando questo stupido che batte alla tastiera pensieri che non servono a nulla.
"Dovresti scriverci, stronzetto" mi dice.
Io continuo a cazzeggiare, bello mio.
Me ne fotto.
Esisti se lo voglio.
Ed adesso, diamine, non lo voglio.
O forse, per meglio dire, lo vorrei ma non ci riesco.
No, nessuna crisi, nulla di così drammatico.
Solo la testa in panne, con tanta voglia di urlare al cielo non so cosa, purchè catartico.

Su, tornate nel cassetto, vecchi bastardi, solo per oggi.
Lasciatemi respirare, tornate domani.
Non ho nulla da dare, questa sera, se non rabbia e cattiveria.
Non vi voglio inquinare.

venerdì 16 maggio 2008

La Fame



Mariko poteva sentire le sue stesse ossa tremare sin dal midollo, propagando il gemito fino alle carni.
Per quanto provasse a dominarsi, i suoi muscoli rifiutavano di obbedire, di soffocare il movimento inconsulto che, seppur imperccettibile quanto un respiro, la soverchiava.
La Fame.
Maledetta puttana.
"Allora, bella bambina?Sicura di non volerne almeno assaggiare?" sorrise Lilith, affondando nuovamente denti aguzzi nel cuore ancora caldo.
Una sottile linea cremisi cominciò a scivolare lenta sul mento della creatura, discendendo lungo il collo nero e lucido come ossidiana, abbandonandosi su seni coperti appena da uno lieve strato di latex sottile come una seconda pelle.
Mariko osservava il sangue concentrarsi a gocce su capezzoli turgidi, invitanti, quasi fosse un neonato.
E Lilith la madre pronta a saziarla di nettare denso e dolce: una madre oscura, dannata, dai seni corrotti e gonfi d'icore.
La Fame.
Avvertiva il suo morso nelle viscere, un'eco crescente di fastidio ed oppressione, un urlo sordo che andava trasformandosi, in divenire.
Il dolore.
La fronte le scottava, imperlata di sudore nonostante la brezza invernale, mentre il silicio organico dentro di lei cominciava a divorarne i muscoli.
Per poi passare agli organi interni.
Il mondo le girò improvviso, costringendola ad accasciarsi contro la parete di mattoni alla sua destra per non cadere, mentre le forze l'abbandonavano.
Lilith sospirò, sollevandosi dal suo trono organico improvvisato.
Mise un piede davanti l'altro, con grazia felina, passo dopo passo, ancheggiando appena nella sua raggelante perfezione.
Le ginocchia di Mariko cedettero, deboli e consumate da quella stessa Fame che le stava oscurando la vista, il fiato corto, affannato, isterico.
Urlò dal dolore, e del sangue cominciò a colarle dalle orecchie, mentre i suoni giungevano ovattati, quasi i timpani avessero smesso di vibrare, perforati.
Vide un ombra, nera come il peccato, chinarsi appena su di lei
"Bella bambina capricciosa, io esisto" dissero le mille voci di donna all'unisono "ed adesso mangia, piccolina. Lo hai già fatto altre volte, non vorrai morire proprio adesso?"
Il sapore della carne cruda si fece spazio tra le sue labbra, mentre il sangue rappreso colava in piccoli grumi dentro la sua bocca, rendendola improvvisamente estasiata.
Con un gesto rapido strappo dalle mani ossidiana il cuore mutilato, prendendolo con entrambe le mani e mordendolo con una tale intensità da liberare schizzi sul muro contro il quale giaceva.
"Mangia, bella bambina" sussurrò appena in orecchie che già andavano ricostruendosi grazie al silicio organico "cresci e diventa forte per me".
Le prese la testa tra le mani, delicata e leggera come una brezza, abbandonando un bacio insanguinato sulla sua fronte.
Il tocco di Lilith l'abbandonò con la stessa grazia con la quale l'aveva incontrata.
Non un fiato, non un respiro.
Sparita.
Senza lasciare traccia.
Mariko avvertì la temperatura corporea scendere vertiginosamente, i suoni tornare nitidi, il velo che oscurava gli occhi sparire.
E le mani staccare pezzi di quel corpo macellato per infilarli ingorde nella sua bocca.
E divorarli.

Altrove, intanto, Lilith rideva.

giovedì 15 maggio 2008

Where the wild roses grow



Si chiamava Lorena.
Due occhi grandi, dolci, quelli di una bambina spaurita.
Immagino che, se avessi una sorella, lei avrebbe lo stesso sguardo.
Immagino che, se avessi una figlia, lei avrebbe la stessa espressione tenera dipinta sul viso.
Non conoscevo Lorena prima del telegiornale delle 13.
Eppure immagino.
Mi immagino fratello e padre.
Immagino che, se me l'avessero strappata via così crudelmente, starei impazzendo.
Immagino le ore trascorse domandandomi dove fosse,le ore in commissariato a sporgere denuncia per la scomparsa, l'attesa spasmodica per quella telefonata che non giunge, le preghiere...
Immagino la chiamata che nessuno vorrebbe mai ricevere.

Perchè?

Non capisco, oltre la retorica c'è qualcosa che non quadra.
La società va a puttane.
Non è solo un problema politico od economico, ma delle persone.
E' una morale che latita, quella che regge le nostre piccole realtà.
E' l'assenza ad essere l'essenza di tutto.
Assenza di valori, doveri, responsabilità, di padri e madri, di Istituzioni, di civiltà, di fede.
Il mondo è pieno di Lorene che non hanno lo stesso colore della pelle o degli occhi, oppure i suoi 14 anni, ma che come lei muoiono con la stessa semplicità con la quale si schiaccia un insetto.

Sono tutti miei figli e mie sorelle.
Sono tutti vostri figli e vostre sorelle.

Dovremmo ricordarcelo.

Immagino un mondo dove i bambini crescono davvero come bambini, dove è autentica follia pensare che si possa decidere di seviziare ed uccidere un altro essere umano.
Forse un po' dipende anche da noi...

Ditemi se c'è vita su Marte.

Arrivederci, Lorena.
Mi sarebbe piaciuto non conoscerti mai.

mercoledì 7 maggio 2008

Vuoto come il cielo




Le mani grondavano sangue, quello del corpo abbattuto sull'asfalto, distrutto e sfatto come un ammasso informe.
Gocce cadevano lente, scivolando tra le dita distese, formando ai piedi di Mariko una pozza cremisi dell'odore del rame.
Il viso si rifletteva sulla superfice rossastra, illuminata da intermittenze al neon, ammaliante in quei quei lunghi capelli neri mossi appena dal vento.
I suoi occhi mutarono delle sfumature del viola e del blu, trasformando le iridi in clessidre e geometrie non appartenenti a questo mondo, abbandonando progressivamente la conformazione felina per tramutarsi nelle semplici pupille umane.
Sentiva il silicio organico evolversi e modificarsi all'interno del suo corpo, unirsi al suo sistema osseo muscolare, alterare i tessuti molli, interagendo persino con il suo sistema nervoso.
Richert le spiegò, poco prima che lei lo tracciasse e facesse a pezzi, che il silicio organico organizzava nell'ospite un sistema nervoso artificiale chiamato "rete neurale", capace di legarsi ai neuroni e lavorare in parallelo.
La rete neurale, però, non si limitava ad accelerare i processi cognitivi, analitici o reattivi dell'organismo ospite, ma si spingeva sino alla modificazione della struttura corporea. Intercettando ed elaborando gli stimoli ambientali e gli impulsi del cervello, l'apparato di silicio organico prelevava dall'organismo quantità ingenti di risorse energetiche e proteiche, utilizzandole per alterare il corpo e renderlo capace di adattarsi ad ogni circostanza.
Nuovi muscoli e tendini si modellavano sovrapposti a quelli già presenti, rivestimenti e calcificazioni rendevano resistenti come acciaio ossa e cartilagine, cuore e vasi sanguigni si dilatavano ed irrobustivano per aumentare l'ossigenazione, l'apparato epatico sintetizzava catalizzatori capaci di neutralizzare tossine e veleni mentre il sistema endocrino somministrava direttamente nelle vene endorfine capaci di renderla inarrestabile e letale.
Era capace di percorrere milioni di anni nella scala evolutiva in poco più di un battito di ciglia.
Eppure si sentiva così fragile ogni volta che la Fame la sorprendeva.
Lilith la osservava spavalda, seduta su quel mucchio di carne macellata che qualcuno un tempo aveva chiamato per nome, un sorriso beffardo dipinto sul suo volto nero come la notte, vuoto come il cielo e pieno solo delle stelle nei suoi occhi.
Mariko avvertì un brivido gelido correre lungo la sua schiena, mentre il silicio organico si ritraeva all'interno del suo corpo, riportandola alla sua forma originaria. E fragile.
Lilith affondò la mano destra nell'ammasso sanguinolento, dove prima doveva essere il torace, mantenendo un equilibrio precario sulle sue gambe accavallate.
Il rumore della carne che penetrava altra carne violentò le orecchie di Mariko una volta ancora, rimbombando come una reminiscenza atavica nelle sue viscere.
Lilith estrasse con un gesto rapido e brutale un cuore pulsante, portandolo alla bocca con lasciva lentezza.
Le sue labbra parevano formarsi nel colore del sangue, mentre i denti affondavano nel muscolo schizzandone l'intero volto.
Chiuse gli occhi, sollevando il viso verso la notte, sospirando appena mentre un movimento della lingua raccoglieva il rivoletto sfuggito all'angolo della bocca.
"Sei allucinazione, non esisti. Sei solo un effetto collaterale" Mariko tentennò, tremante "sparisci!"
Lilith abbassò nuovamente il capo, continuando a masticare lentamente quella carne dura e sanguinolenta, incontrando lo sguardo di quella creatura che inveiva tremante.
Mosse appena le labbra, e mille donne di ogni nazione e razza parlarono contemporaneamente, all'unisono, concentrate in una sola voce.
"Esisto, bella bambina...esisto."
Allungò la mano insanguinata verso Mariko, porgendole quel cuore strappato da denti che ben poco avevano di umano.
"E tu devi avere molta fame...perchè non ne assaggi?Mangia, o sarà la Fame a divorare te"

giovedì 1 maggio 2008

Welcome home (you)



Si, è esattamente ciò che sembra.
Musica cristiana.
Roba da invasati?Forse.
Leggetene il testo, poi mi dite se non è meglio di tanta roba da due soldi che canticchiate sotto la doccia.
Tipo "Umbrella".
Dai, su, non siate timidi!
Lo so che l'avete ascoltata e borbottata anche voi, così come avete urlato ai quattro venti "YMCA" in occasione di qualche serata di festa anni '80.
Tanto lo so, non provate vergogna neppure di fronte alla più stupida delle canzoni (purchè passata in radio ed interpretata dal cantante di grido del momento), la fate vostra perchè i media vi bombardano, ignorando il senso (ammesso che sia presente!!!) delle parole.
Beh, YMCA racconta di un locale gay di San Francisco dove i "ragazzotti di campagna", frustrati dalla loro sessualità repressa, possono trovare sfogo con persone come loro.
"Umbrella", invece, racconta di quanto sia figa Rihanna (cosa condivisibile e nota a chiunque non sia cieco) e di come sia bello vivere da "rockstar" piena di soldi...
Wow.
Le avreste considerate così belle se ne aveste conosciuto il senso?
E poi ci si vergogna di ascoltare una canzone che abbia una tematica Cristiana, un messaggio d'amore e speranza come quello contenuto in questa canzone, Welcome home (you).

Lo dico perchè fino a ieri avrei storto il naso anche io.
Fate conto che un carissimo amico, Anthony, mi regalò una selezione di brani cristiani (rockeggianti e non) che ho ascoltato un pò paio di volte prima di riporlo via insieme ai cd addetti a raccoglier polvere...
Ieri mattina è accaduto qualcosa di strano.
Ero stanco, senza stimoli, depresso.
Classica colazione italiana con caffè, biscottino e sigaretta, tv per riempire quel silenzio che non hai voglia di ascoltare.
Una emittente che non guardo MAI, e quando dico MAI intendo davvero MAI, trasmette un video musicale...beh, arrangiamento orecchiabile, voce gradevole...testo incredibile.
Le parole che dovevo sentire per stare bene, quelle di un pasdre che si prende cura del proprio figlio, sollevandolo nei momenti di incertezza e sconforto.
Una sorta di risposta alle mie preghiere.
Si, io prego.
Ed è bello vedere come Cristo risponda anche attraverso queste piccole cose.

"You're never far
I will be where you are
and when you come to me
You can bet I will open my arms

Welcome Home, you
I know you by name
How do you do?
I shine because of you today
So come and sit down
Tell me how you are
I know son, it's good just to see your face."

"Non sarai mai lontano
Io sarò lì con te
e quando tornerai da me
puoi essere sicuro che ti abbraccerò

Bentornato a casa,
Io so chi sei,
Come stai?
Oggi brillo luminoso per te
Quindi vieni qui e siediti,
dimmi come stai
Io lo so, figlio, è già bello anche solo vedere il tuo viso"

Questo è Dio.