mercoledì 30 aprile 2008

"...poichè il Suo nome è il Tuo poggiato sulle mie labbra"





"Sogni d'oro, preziosa creatura" le sussurravo lentamente, impercettibile, poggiando le labbra al suo orecchio, quasi sfiorandola.
E lei sorrideva in risposta, quegli occhi chiusi addormentati, regalandomi risposte rubate a chissà quale sogno...
"Dove sei, piccola mia?"
Ed immaginavo, intanto, quella battigia farsi morbida sotto i suoi piedi, lasciando impronte vive per il solo tempo di un onda, il sole cremisi del tramonto baciare appena le sue labbra con raggi troppo simili a gocce insanguinate, la brezza arricciare e scompigliarne i boccoli ribelli...
Seguivo il suo respiro attraversarle il corpo, perso tra le curve di seni che s'innalzavano come piccole colline, verso il cielo, scendendo fino a quel ventre rigonfio e pieno di tutto l'amore che esiste.
Ed il mio viso, intanto, si trasforvama delle curve dei sorrisi, di quelle stesse rughe d'espressione che nascono da labbra felici ed occhi sognanti.
"Ti amo dell'amore delle stelle" le sussurravo "la tua pelle porta con sè il profumo dell'infinito, l'essenza stessa di Dio...poichè il Suo nome è il Tuo poggiato sulle mie labbra".
La mia mano, intanto, scivolava lenta, leggera, quasi eterea, su quel grembo gravido, a voler cogliere flebili battiti e movimenti tanto occasionali quanto repentini.
E le mie dita, intanto, vedevano piccole mani stringersi in minuscoli pugni davanti ad occhioni neri e grandi ancora troppo giovani per poter essere svelati.
Già l'amavo, sebbene ancora non fosse se non per quel frammento di divino che brillava in lui, quell'anima così luminosa da accecarmi.
Che splendido dono mi ha concesso...
Lo sapevo sin dall'alba dei tempi.
Così come sapevo che l'avrei amata.
Dannandomi.
No, non me ne pento affatto.
Il tempo di una vita mortale, vissuta per lei e per lui, non può esser comprata per un prezzo così misero come l'eternità.
"Ti amo" il mio viso sul suo ventre "Ti amo".
"Vi amo" mentre il sonno e l'alba coglievano quanto di me restava...

giovedì 24 aprile 2008




Siamo mondi siamo mondi paralleli
Che si attraggono e si respingono così
Tu non credere che ti stia scappando
Qui tutto passa e niente si dimentica

Provo a dire cose facili per altri
Ma che mi fan paura
Basterebbe solo fare il primo passo
Rischiare una figura e forzare la serratura

Hey l’amore immaginato
È quello vero quello vero quello vero quello amato
L'amore immaginato
È quello che ti chiama e poi non ti chiama poi ti chiama poi sta li in agguato
L'amore incasinato
È quello che fa bene che fa male che fa bene che fa male che fa bene che fa bere L’amore immaginario…

Just like theatoms of imaginary love
we keep on pulling back and pushing far away
but there are those things way too easy but are scary
it scares the world out of me
risking anything to follow all that I feel
where everybody’s looking for the key to the one and only

Ah! L’amore immaginato
È quello vero quello vero quello vero quello amato
L’amore incasinato
makes you happy makes you crazy makes you thirsty makes you hungry makes you want more
L’amore immaginario…

C’ ho proprio un mondo in testa
Che passa qui dal cuore
E dove in fondo all’anima
Ci potremo poi incontrare
Per ricominciare

Eh l’amore immaginato
È bello vero bello vero bello vero bello vero bello amato
L’amore immaginato
makes you happy makes you crazy makes you thirsty makes you hungry makes you want more
L’amore amaro amato
È quello che fa bene che fa male che fa bene che fa male che fa bene che fa bere L’amore immaginario ...

domenica 20 aprile 2008

Un brusco risveglio

Il telefono suonava fastidioso, come fosse uno spillo conficcato nei timpani.
Aveva sonno, si. E nessunissima voglia di alzarsi.
Senza riuscire a sollevare la testa dal cuscino cercò tentoni il telefono, afferrò il ricevitore con un gesto forte e scoordinato, nervoso, portandolo alla bocca.
Non riuscì a pronunciare altro che un mugugno, un “umph” interrogativo ed infastidito, come l'espressione scavata dalla sua faccia sul cuscino lasciava intuire.
“Buongiorno, M.”
Si svegliò istantaneamente, quanto era in lui vibrava disturbato dal suono di quella voce, quasi come se ogni fibra di quel corpo nuovo di zecca si allertasse al minimo cenno del nemico.
“Hmph. A te, L. . A che devo tanto disturbo?”
“Non essere sempre così scontroso, M.!Fatti una doccia e poi scendi nella Hall, ho un regalo per te.”
Click.
Non il tempo di replicare, lasciando morire quel “non so che farmene dei tuoi regali” tra le labbra dell'uomo prima ancora di subvocalizzare la parola “Non”.
“'Fanculo”.
Una doccia, eh?Poggiò i piedi sul pavimento, gelido, rendendosi conto di esser carne e sangue per via dei brividi che correvano lungo la pelle.
Si gettò sotto il getto caldo, bollente, lasciandosi cullare dalle gocce che avvolgevano il suo nuovo corpo, scoprendo uno splendido metodo per rendere meno traumatica la transizione dal sonno alla veglia.
I vestiti giacevano abbandonati ai piedi del letto, pronti ad esser indossati non appena asciugate le ultime gocce che opponevano resistenza tra le sue scapole.
Chiuse la porta alle sue spalle ed affrontò le scale, lentamente, quasi volesse godersi ogni gradino che lo separava dall'Avversario. Non temeva L., semplicemente mal tollerava l'idea di avere a che fare con lui, sebbene lo rispettasse molto.
E tollerava ancora meno l'idea di dovergli un favore, per essere precisi.
L'ultimo scalino fu il più difficile da scendere.
“Buongiorno, M.” lo accolse, il sorriso smagliante ed ampio sulle labbra, negli occhi l'eternità.
Non si sforzò neppure di sorridere, o di rispondere: un cenno fu tutto quello che disse.
“Scontroso come sempre, mio caro!” disse tamburellando con le unghie sul bancone logoro di un legno il cui colore originario era andato perduto nel tempo.

lunedì 14 aprile 2008

Che Gesù possa aver pietà di noi...



E' quasi notte, tutto è così cupo da contagiare persino qunato sta sospeso sopra le nostre teste. Non una stella, nessun accenno di Luna.
Niente di niente.
Anche il cielo sta d'umore nero.
Non vi dico io.
Non fossì solo così convinto che deve avere un senso, che ogni cosa è nei SUOI piani, bhe...urlerei!
Manco di un oggetto, vero?
Parlo delle elezioni politiche.
Sono disgustato.
L'italiano è un idiota, ha la memoria breve, non riesce neppure a ricordare cosa ha mangiato a pranzo, figurarsi i danni fatti all' ex Bel Paese nell'arco della legislatura 2001-2006!
L'italiano non ricorda i suoi martiri, fotte tra lo zapping televisivo Falcone e Borsellini sostituendo le loro foto con quelle di Dell'Utri e Mangano...
Signori, tra un po' toglierà anche Cristo dal crocifisso per metter al suo posto Silvio...
Mi sento davvero stanco di essere italiano, popolo becero ed ignorante, capace di fare solo quanto comandato dalla televisione o dal giornalista-servo di turno.
Non che Veltroni fosse meglio, s'intende.
O che ci fosse davvero qualcosa o qualcuno in cui riporre le speranze.
Non nell'uomo, non nei partiti.
Non in nulla di umano.
Sono stanco, stanco davvero.
Certo, forse non dovrei lamentarmi troppo, in fin dei conti c'è chi sta molto peggio di me (circa 5 miliardi di persone?), ma non riesco a rallegrarmi del meno peggio che mi è capitato.
Cosa intendo?Ecco, forse dovremmo combattere per rendere questo mondo meno ingiusto, impegnare le nostre risorse per trasformare la terra in un luogo migliore, consacrare le nostre menti alla via della pace e dello sviluppo della cultura e dei popoli.
Consacrare i nostri cuori ad un bene supremo.
Imparando da Lui, ad esempio.
Eppure stiamo qui, a guardare stelle che non brillano più, troppo umani per ricordare del sangue che ci ha lavati e trasformati in qualcosa di più.
Non riusciamo davvero a staccarcene, questa carne troppo c'imprigiona.
Eppure siamo salvi, anche quando non lo sappiamo.
E se solo lo sapessimo, anche l'Italia sarebbe un posto splendido in cui crescere figli che ancora non ho e che temo di mettere al mondo.
IUl mondo intero lo sarebbe!
Io ho fede, ma la paura è sempre tanta.
Troppa.
Che Cristo possa aver pietà di me, di te, noi.
E dell'umanità intera.

mercoledì 9 aprile 2008

Lucien - Capitolo Non lo So



Attendevo senza troppa convinzione, nascosto tra le ombre proiettate dai lampioni, solo quelle dannatissime sigarette a rivelare la mia presenza.
Dovrei smettere di fumare.
O forse dovrei smettere di ricominciare ogni volta che le cose mi sfuggono di mano.
Nadine, Nadine. Dannata Nadine.
Prepari i tuoi bagagli, l'espressione confusa mentre le dita scivolano sui tuoi abiti più belli, tra le stoffe di quella lingerie che di te ho soltanto immaginato.
Già, di pura immaginazione ho la testa fottuta...
Eppure credevo che la tua follia non fosse contagiosa, m'illudevo che il tuo non fosse un morbo capace di scavare anche dentro le mie cellule.
Merde.
Cosa ci faccio ancora qui, sotto casa tua, troppo intento a spegnere sigarette fissando la tua silhouette comparire dietro le tende?
Non lo so...non lo so.
Vorrei sfondare quella porta a calci, piombare nella tua stanza e scaraventare via quella valigia dal letto, baciarti e dirti che non te ne andrai via così, che non ti lascerò partire senza almeno aver scavato una cicatrice sulla mia anima, senza prima cucirti addosso un pezzo di me...
Ed allora per quale dannata ragione non riesco a muovermi da qui?
Dimmelo.
Dannato me, dannati i tuoi occhi.
Se solo non t'avessi mai incontrata, Nadine.
Sei quel vizio che non riesco a smettere.
Mi annebbi, tu e quel tuo sorriso, le tue parole abbandonate sulle mie labbra...
Ti ammazzerei, se solo potessi.
Un killer che non riesce ad ucciderti...che scena ridicola, non trovi?
Tu sai che sono qui, avverti il mio respiro, i miei pensieri...
Ed allora perchè non mi cerchi? Cosa vuoi da me, Nadine?
Forse vuoi tutto quello che non posso darti, o forse non te ne importa affatto.
O semplicemente non ti fidi di me.
Non mi conosci, non sai chi sia in realtà.
Ti capisco, ma chere...
Eppure ti ho dato più di quanto io dia a me stesso.
Non sai che sono un assassino.
Magari lo hai intuito ed hai deciso di fuggire.
Certi segreti devono restare tali, graziosa signorina.
Se tu sapessi, io non avrei altra scelta che uccidere anche te.
La mie menzogna, il mio tacere, per quanto doloroso, null'altro è che istinto di protezione.
Esatto, Nadine. Non voglio farti male.
Forse per questo non riesco a muovere un passo, forse non ho paura di perdermi in te...ma ho solo paura di perdere te.
Non ti fermerò, Nadine.
Non voglio farti male.
Non più di quanto ne stia già facendo a me...
Un'ultima sigaretta, Nadine, e poi me ne andrò.
Voglio guardarti un'ultima volta.
E poi...non lo so.
Non so più nulla, Nadine.
Se solo non fossi Lucien...

lunedì 7 aprile 2008

Mariko




Mariko attendeva silenziosa, in equilibrio irreale ed onirico, sospesa a più di duecento metri dalla strada che scorreva come in piena sotto i suoi occhi.
Solo il suo piede destro, la punta appena, era l'epicentro del suo mondo, il punto d'equilibrio che la separava da morte certa.
Eppure non pareva curarsene, troppo semplice il gesto e misero lo sforzo, incredibilmente attenta ed assorta in quello che sapeva fare meglio.
Cacciare.
Attendeva la sua preda come un falco, sospesa così in alto da farle sentire un paio d'ali.
Scrutava da chilometri di distanza ogni centimetro quadrato di Tokyo, spiando ed investigando attraverso il sensore telescopico implantato nei suoi occhi al silicio organico, a caccia.
Violava le identità, anche quelle più nascoste, nulla poteva restarle celato.
Si sentiva una sorta di Deva, una creatura al di sopra degli uomini, oltre la morale stessa, oltre la vita.
E la morte.
La sua preda correva veloce, lanciata a folle velocità su due ruote nere come la notte, scintillanti contro l'asfalto e nei riflessi al neon delle insegne.
"Ancora qualche istante", subvocalizzava mentre il telemetro inondava di numeri in rosso l'interno delle sue iridi.
"Ancora qualche istante e sarai mio"
L'HUD nel suo campo visivo si trasformò, ad un impulso neurale, in un reticolato di numeri e luci, mentre un minaccioso cerchio crociato s'imprimeva violento, tracciandolo, sulla figura in movimento.
L'aveva agganciato, era suo, ormai.
Un kilometro.
Estrasse la lama dal fodero in polimeri neri ad alta resistenza, vide il metallo color ossidiana illuminarsi appena riflesso del rosso dei suoi occhi.
Cinquecento metri.
Portò la Katana alle labbra, appoggiandola appena sulla lingua per saggianre il filo.
Un rivolo di sangue le inondò la bocca, riempiendola del sapore del rame e della vita.
Era eccitata, voleva mordere carni e tagliare ossa, osservare la preda dilaniata dalle sue zanne.
Voleva dare la morte.
Duecento metri.
Portò la lama dietro la schiena, un artiglio pronto a colpire, concentrando gli occhi sulla preda.
Lasciandosi cadere nel vuoto, a capofitto, i lunghi capelli neri spinti indietro dal vento e le luci della strada sempre più vicine e minacciose, sorrise.
50 metri.40 metri.
Allargò le braccia, quasi fossero ali.
30 metri.
La lama davanti al suo viso, a fendere il vento.
20 metri.
Il telemetro impazziva, il bersaglio in traiettoria d'impatto con quel corpo in caduta libera.
10 metri.
Concentrazione.
Impatto.
Un istante, un pensiero, ed i deceleratori si attivarono ad un comando neurale di Mariko, riducendo drasticamente la velocità di caduta.
Si trovò sospesa, una frazione di secondo infinita, al rallentatore.
Cercò gli occhi della sua preda, nascosti sotto il casco, belli, di un azzurro così intenso da ricordarle il mare della costa dove era nata e cresciuta...
Vide il terrore , la consapevolezza della preda che sta per morire.
Il suo piede destro sulla maschera della motocicletta, contro ogni legge della fisica, il solo sostegno per quel corpo aggraziato che si raccoglieva in un unico movimento, pronto a scattare in un balzo felino.
La lama si mosse in avanti, trasportata dallo slancio impresso dalle sue gambe, abbattendosi su quel corpo in velocità.
Il sangue le schizzò sul viso, copioso e furioso, inebriante, assordante insieme al rumore delle carni e delle ossa tranciate di netto sotto il filo impietoso della lama, oramai color cremisi.
Il tempo riprese a scorrere, e tutto terminò nello spazio di un battito del cuore.
La moto cadde rovinosamente per terra, strisciando scintille contro l'asfalto della strada affollata, abbandonando un corpo tranciato di netto sul selciato ed una sihlouette che cadeva aggraziata pochi metri distante.
Mariko sorrise, gustando il sapore del sangue che ancora le macchiava la bocca ed il viso.