mercoledì 16 gennaio 2008

Work in progress

Il traffico torinese lo teneva intrappolato da quasi mezz'ora. Aspettava sotto un sole novembrino che si apprestava ad anadarsene incurante dei semafori rossi e dello strombettio dei clacson.

Un sole che passava ed al quale non fregava niente di chi stesse sotto, incolonnato a respirare fumo, sfiancato, stressato, incazzato.

Passava e basta. Fine della storia.

Markus non capiva molto del moto degli astri e dei pianeti, nè della matematica che Dio aveva impresso a fuoco in ogni atomo del Creato. Né gli interessava.

Non era questo il suo compito: lui doveva capire l'animo umano.

Nulla di più, nulla di meno.

Era per questo che s'incazzava quando si ritrovava imbottigliato, perchè capiva l'animo umano ed aveva finito per condividerne le emozioni e l'indole.

A volte si ritrorvava a pensare quanto fosse stronzo.

Si, proprio “stronzo”, esattamente questa parola.

Così umana, così incredibilmente calzante alla sua figura di stupido angelo che sia abbassa fino a diventare come le creature delle quali dovrebbe essere guida, per le quali dovrebbe essere come il Sole: un padre che osserva dalla distanza i propri figli, nutrendoli e facendo loro credere di essersi procacciati il cibo con le proprie esclusive energie.

Ma proprio non gli riusciva di staccarsi dal loro odore, dalla loro pelle. Li amava più di quanto amasse Dio stesso, senza riserve, con assoluta devozione. Follemente.

Proprio perchè era stronzo continuava a premere sul clacson ed imprecare.

Non aveva appuntamenti, voleva solo correre da Barbara e perdersi in quegli occhi che troppo gli ricordavano l'Abisso in cui troppi suoi compagni erano caduti.

Sbuffò ed aumentò il volume di “Kiss by a rose” , facendo eco a Seal dimenandosi come un idiota.

Non riusciva a smettere di stupirsi davanti a tutte quelle espressioni stupide che un viso umano era in grado di fare con uno specchio ed un motivetto orecchiabile.

Il cellulare squillò col suo trillo inquieto, una di quelle suonerie alla moda tanto ridicole quanto costose, la scritta “barbara” sul display.

"Brezza, Rugiada, mia Rosa" rispose Markus con parole che sembravano velluto, abbozzando un sorriso destinato a lei soltanto.

"Cosa devi farti perdonare, mascalzone?Quando parli così è perchè devi farti perdonare un'altra delle tue"la voce all'altra parte sembrava voler mostrare a lui quel sorriso che le aveva appena poggiato sulle labbra.

"Barbara" pensò tra se, senza parlare, consapevole di quanto ormai dipendesse dal calore di quella figlia di Adamo.

"Tesoro, ci sei?" incalzò la donna.

"Certo, mia piccola Eva, mi ha distratto un istante il traffico...dicevi?"

"Amore,amore,amore!Tieniti forte! Ho una notizia bellissima!Ma non posso dirtelaaa!" urlò Barbara, quasi fosse una bambina di 10 anni alla quale hanno appena regalato un giocattolo nuovo "ma come faccio a non dirtela?"

"ehi, signorina" Markus abbozzò un sorriso "calmati, prendi fiato...che succede?"

Amava quella donna, l'amava per la sua impulsività e la grinta, per quella dolcezza tutta particolare che aveva ogni volta che imbronciava il musetto o sorrideva, per quell'aria da furbetta pronta a combinarne una da un momento ad un altro... più imparava ad amarla e più non riusciva a capacitarsi della crudeltà dell'editto divino, quello che impediva l'amore tra i figli di Dio ed i figli dell'uomo. Non riusciva a concepire crudeltà più grande del non poterla amare.

"Non resisto, devo dirtelo!" incalzò quella ragazzina urlante che saltava scalza sul pavimento della loro cucina "aspetto un bambino!".

Silenzio.

Lungo, interminabile.

"Markus, amore?non sei contento?è bellissimo!Amore?ehi?amoreee?"

Silenzio.


"Amore?Qualcosa non va?Credevo...amore..." la di lei voce tremava, incredula, molto diversa diversa da quella sbarazzina ed entusiasta di qualche istante prima.

Markus non riusciva a sorridere, sebbene quanto di umano era in lui lo volesse. Sebbene quanto di umano era in lui non avrebbe dovuto esistere.

Avrebbe voluto gioire, urlare, scendere dall'auto e fare il pazzo.

In fin dei conti, finalmente, era accaduto.

Sebbene non lo ammettesse nemmeno a se stesso, lo aveva sempre desiderato.

Un figlio.

Non riusciva a sorridere, lo sguardo fisso sullo stesso dannatissimo punto, lontano da tutti, da ogni cosa, che prima o poi, ognuno di noi, si trova a fissare.

"A-aspettiamo un figlio" riuscì a biascicare, la voce rotta, Markus.

"Si, Angelo mio" fu tutto quello che disse Barbara, mentre la dolcezza della sua voce veniva interrotta dal suono del telefono che, proprio in quel momento, aveva deciso di spegnersi.

I clackson suonavano alle sue spalle, gli automobilisti scaricavano furiosi la loro bile verso quell'imbecille che bloccava l'incrocio. Lo stesso imbecille che sarebbe, a breve, diventato padre.

Lo stesso imbecille che avrebbe messo al mondo un Nephilim.

Silenzio era l'unica cosa che sentiva, il vuoto tutto ciò che riusciva a vedere.

Ogni cosa aveva smesso d'esistere, quasi l'intero creato gli fosse crollato addosso.

Scoppiò a ridere, d'una risata amara, isterica.

"Dio perdonami" fu tutto ciò che riusci a dire mentre abbandonava esausto, svuotato, la testa sul volante.

"Dio perdonami".

1 commento:

Anonimo ha detto...

Era questo il racconto che mi sarebbe dovuto piacere? Beh, se si hai colto nel segno! Grazie che ogni tanto mi permetti di farmi risucchiare dai tuoi racconti e di farmi entrare inevitabilmente in un'altra dimensione!
Un abbraccio
Laura