lunedì 7 aprile 2008

Mariko




Mariko attendeva silenziosa, in equilibrio irreale ed onirico, sospesa a più di duecento metri dalla strada che scorreva come in piena sotto i suoi occhi.
Solo il suo piede destro, la punta appena, era l'epicentro del suo mondo, il punto d'equilibrio che la separava da morte certa.
Eppure non pareva curarsene, troppo semplice il gesto e misero lo sforzo, incredibilmente attenta ed assorta in quello che sapeva fare meglio.
Cacciare.
Attendeva la sua preda come un falco, sospesa così in alto da farle sentire un paio d'ali.
Scrutava da chilometri di distanza ogni centimetro quadrato di Tokyo, spiando ed investigando attraverso il sensore telescopico implantato nei suoi occhi al silicio organico, a caccia.
Violava le identità, anche quelle più nascoste, nulla poteva restarle celato.
Si sentiva una sorta di Deva, una creatura al di sopra degli uomini, oltre la morale stessa, oltre la vita.
E la morte.
La sua preda correva veloce, lanciata a folle velocità su due ruote nere come la notte, scintillanti contro l'asfalto e nei riflessi al neon delle insegne.
"Ancora qualche istante", subvocalizzava mentre il telemetro inondava di numeri in rosso l'interno delle sue iridi.
"Ancora qualche istante e sarai mio"
L'HUD nel suo campo visivo si trasformò, ad un impulso neurale, in un reticolato di numeri e luci, mentre un minaccioso cerchio crociato s'imprimeva violento, tracciandolo, sulla figura in movimento.
L'aveva agganciato, era suo, ormai.
Un kilometro.
Estrasse la lama dal fodero in polimeri neri ad alta resistenza, vide il metallo color ossidiana illuminarsi appena riflesso del rosso dei suoi occhi.
Cinquecento metri.
Portò la Katana alle labbra, appoggiandola appena sulla lingua per saggianre il filo.
Un rivolo di sangue le inondò la bocca, riempiendola del sapore del rame e della vita.
Era eccitata, voleva mordere carni e tagliare ossa, osservare la preda dilaniata dalle sue zanne.
Voleva dare la morte.
Duecento metri.
Portò la lama dietro la schiena, un artiglio pronto a colpire, concentrando gli occhi sulla preda.
Lasciandosi cadere nel vuoto, a capofitto, i lunghi capelli neri spinti indietro dal vento e le luci della strada sempre più vicine e minacciose, sorrise.
50 metri.40 metri.
Allargò le braccia, quasi fossero ali.
30 metri.
La lama davanti al suo viso, a fendere il vento.
20 metri.
Il telemetro impazziva, il bersaglio in traiettoria d'impatto con quel corpo in caduta libera.
10 metri.
Concentrazione.
Impatto.
Un istante, un pensiero, ed i deceleratori si attivarono ad un comando neurale di Mariko, riducendo drasticamente la velocità di caduta.
Si trovò sospesa, una frazione di secondo infinita, al rallentatore.
Cercò gli occhi della sua preda, nascosti sotto il casco, belli, di un azzurro così intenso da ricordarle il mare della costa dove era nata e cresciuta...
Vide il terrore , la consapevolezza della preda che sta per morire.
Il suo piede destro sulla maschera della motocicletta, contro ogni legge della fisica, il solo sostegno per quel corpo aggraziato che si raccoglieva in un unico movimento, pronto a scattare in un balzo felino.
La lama si mosse in avanti, trasportata dallo slancio impresso dalle sue gambe, abbattendosi su quel corpo in velocità.
Il sangue le schizzò sul viso, copioso e furioso, inebriante, assordante insieme al rumore delle carni e delle ossa tranciate di netto sotto il filo impietoso della lama, oramai color cremisi.
Il tempo riprese a scorrere, e tutto terminò nello spazio di un battito del cuore.
La moto cadde rovinosamente per terra, strisciando scintille contro l'asfalto della strada affollata, abbandonando un corpo tranciato di netto sul selciato ed una sihlouette che cadeva aggraziata pochi metri distante.
Mariko sorrise, gustando il sapore del sangue che ancora le macchiava la bocca ed il viso.

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