mercoledì 14 settembre 2016

Hic Sunt Leones

In punta di piedi, eccomi.
Osservo, senza fare rumore.
Lontanto.
Medito, attento.
Calcolo, misuro.
Conto.
Cambiamento, correnti gravitazionali che spingono vele verso  litora sconosciute ma che ben ho visto.
Scolpisco con mano ferma, catturo l'essenza, incido la rotta e lascio il segno.
Hic sunt leones.
Ed io sento un ruggito unirsi al loro: il mio, poiché di me soltanto posso fidarmi.
Chissà, oltre le parole, cosa seguirà.

Io proseguo, senza sosta, laddove saprò andare, senza condizioni e senza timore, sorridente e forte, incurante del resto.
Se un ruggito mi accompagna, sia.
Altrimenti, eco sia.

venerdì 10 giugno 2016

I dadi

Tirò una boccata profonda, lasciando scendere il fumo fin dentro ai polmoni. Chiuse gli occhi all’orizzonte ramato del tramonto marino, esalò un respiro carico della merda che aveva dentro.
Catrame e malinconia.
La nicotina no, quella no, la desiderava nelle vene e dritta fino al cervello.
Abitudine stronza. Ma non se ne curava poi molto.
Il sonno gli stava incollato addosso come una seconda pelle, togliendogli la forza di respirare. Il martini attendeva immacolato un paio di labbra da baciare e la gente intorno sciamava come piccole formichine troppo intente a lavorare per capire che la loro vita era lì, adesso, e non in una sorta di futuro ipotetico.
Non era tipo da futuro, lui.
L’illusione del tempo aveva abbandonato la sua testa da anni ormai. Prima ancora di Nadine e della merda seguita.
Puttana eva.

Nadine. Sempre Nadine. Non faceva in tempo a dimenticarsene che lei tornava.
Puntuale come la morte. O la puttana che ti conosce bene.
Ma in fin dei conti, cosa avrebbe potuto aspettarsi di diverso?
Nadine era saldata alla sua anima, fusa nella sua stessa carne, intrecciata in modo inestricabile alla sua stessa essenza.
Qualcosa del quale non avrebbe potuto liberarsi in alcun modo, se non con la morte.
Eppure, era ora di scegliere, era infine giunto il momento di muovere oltre.
Doveva scrollarsela di dosso una volta per tutte, lasciarla andare, liberarsi di lei.
Non si poteva più fidare, l’aveva tradito troppe volte per poter ricominciare.
L’assenza. Non esisteva lei, in nessuna forma o sostanza. Illusione che doveva essere scacciata come uno spirito nefasto la cui presenza brucia ed offusca, incapace di andare avanti.
Si alzò dalla sedia con uno scatto. Prese un’altra boccata dalla sigaretta, sospirando al cospetto del mare.
Dannata malinconia. Non sarebbe tornato indietro, questa volta. Una decisione era stata presa.
Dannato Cesare ed i suoi dadi del cazzo.
Pregava solo di essere in grado di mantenere quella posizione che sempre di più andava assomigliando ad un patibolo.
Odio e amore erano sentimenti così sottilmente vicini, talmente simili da poter sfociare repentinamente l’uno nel territorio dell’altro.
Era così un inferno la sua vita, il panico di una prigione immobile fatta di sbarre invisibili, alla mercè di una carceriera sadica ed idiota.
L’avrebbe uccisa piazzandole una pallottola in cuore.
Doveva smettere di amarla, si ripeteva, doveva smettere di pensare a lei.
CI sarebbe riuscito. Forse. Ma non sapeva ancora come.
Abbandonò una banconota sul tavolo prima di tracannare quanto restava del martini.
L’alcool lo colpì al muso, improvviso, ricordandogli che in fondo il mondo non è poi un brutto posto.
Già, proprio così.
In fin dei conti lui era Lucien, cosa poteva mai importargli di una donna tra tante altre.
Nadine. Razza di puttana. Nadine.
Scacciò il suo pensiero a calci dalla sua testa. Raccolse la giacca e cominciò a camminare verso il lungomare, mettendo un piede davanti all’altro senza sapere bene dove andare.
Non aveva bisogno di riflettere, soltanto di inondare gli occhi e la mente di volti e facce nuove, differenti, per perdere i suoi occhi in mille altri.
Cercò le parole, le attese all’uscio una ad una, invitandole ad entrare, selezionandole. Non voleva rabbia, neppure amarezza. Indifferenza? No, neppure. Non poteva donare indifferenza alla donna che più di tutte aveva amata. Tra tutte, questa era l’emozione più improbabile di tutte, anche se la più preferibile.
Impossibile.

Amore, si disse, amore. E’ tempo. La mia strada mia attende, solitaria che sia, ma la mia. Non c’è spazio per te in questo nuovo corso.

sabato 28 maggio 2016

Lo zaino

Potrei pronunciare mille parole, ma il mio sarebbe soltanto svilire la Musa che ha concesso il dono di formularle.
Potrei urlare, invece, o demolire.
Potrei bere, inondando d'alcol le vene fino a quasi far scomparire il sangue.
Potrei fare mille altre cose.
E invece no.

Osservo. Attendo.
Non esiste furia. Non esiste rabbia.
Dubbio.
Solo dubbio.

Non spiego e non capisco, significati che scompaiono e vite che frantumano.
Gesti e piccolezze che si trasformano in bassezze.

Il genio tre desideri li esaudisce. Gli uomini non riescono neppure ad esaudirne due.

Parole.

Ed allora mi godo la bonaccia, occhi al cielo, nuvole in movimento.
Una leggera brezza accarezza, l'ancora gettata.
Sogno, e immagino di comprendere.

Ma il risveglio coglie e continui a non capire un cazzo.

Mah.

Intanto preparo lo zaino, è ora di partire.

lunedì 11 aprile 2016

Shit happens

Quante cose sono cambiate dal mio ultimo post.
Tante, troppe.
Alcune per il bene, una in particolare per il peggio.
Oh, diamine. Decisamente per il peggio.
Percorro la mia strada senza la presenza che, da sempre, mi dava forza e coraggio: mio padre.
Non mi ha abbandonato, no, non lo avrebbe mai fatto. E' semplicemente andato a preparare quel posto nel quale tutti i giusti andranno.
Almeno così mi racconto. Almeno così credo.
Non mi interrogo troppo sulla fede, preferisco abbandonarmi ad una cartesiana fiducia.
Intanto proseguo, le dita continuano a battere sui tasti, scrivo ancora.
Non romanzi, non sceneggiature.
Scrivo esperienze che altri traducono in stringhe di codice e immagini. Una sorta di regista di 'sto gran cazzo.
E allora che ci faccio ancora qui su questo blog, così anonimo ma fottutamente personale, a scrivere minchiate senza neppure una chiara direzione?
Non lo so, forse è solo dannatamente terapeutico.
Non ho più la mia penna, non mi esprimo più come un tempo, forse per via dell'incidente. Avrò perso dei pezzi, mi dico spesso, qualche neurone deve essere rimasto attaccato in quel SUV tra il New Jersey e la Pennysilvania.
Cazzo, ho perso un sacco di pezzi.
Non ho più la musa, questo è certo. La mia musa è sparita, volubile e infantile.
La musa è una puttana che non inseguo.
Lascio il mondo scivolare, e di arte e poesia forse frega più poco: l'amore romantico, l'amor cortese, la poesia di attimi dannati, alla fine, è una gran cazzata.
Si, Lucien, anche tu non hai capito un cazzo.
E adesso?
Cazzo ne so, domani è un altro giorno.