mercoledì 31 dicembre 2008

Voxdei



chi lo avrebbe mai detto?
Un anno addietro mi trovavo a scrivere le prime timide righe di questo blog, parola dopo parola, lettera dopo lettera...
Umori s'intrecciavano a pensieri in modo confuso, impacciato, macchiando pagine digitali con pixel che avevan la pretesa di evocare graffi d'inchiostro!Che stolto neoromantico cyberpunk!
Ed il mio cuore informatico continua a battere in sincrono con quello vero, al suono delle dita sulla tastiera, il respiro si confonde con il flusso leggero della ventola del mio portatile, i miei occhi riflettono le luminescenze dei cristalli liquidi...perdo me stesso, ritrovandone un altro.
Voxdei.

giovedì 11 dicembre 2008

La Notte Speciale

Un cielo cupo e nero ammantava la casetta in cima alla collina, solo uno spruzzo di stelle e la piccola falce della luna ne rischiaravano appena i contorni irregolari e cadenti.
In lontananza ululati lasciavano presagire stomaci vuoti in attesa della cena, mentre un piccolo sentiero serpeggiava tra rami spogli e deformi, sinistri come vecchi dalle dita adunche, protesi sulla strada quasi volessero afferrare gli sfortunati passanti.
Nessuno del luogo si azzardava lungo il sentiero che portava alla casetta, il profondo timore che le persone avevano della strada in cima alla collina riverberava nelle storie da osteria e negli avvertimenti che le mamme davano ai bambini capricciosi.
Nessuno sapeva spiegare la ragione di tanto timore, ma quei brividi che correvano come una goccia d'acqua gelida lungo la schiena non appena s'imboccava il sentiero erano una ragione più che sufficiente a restare lontani da quel luogo.
Di tanto in tanto ignari viaggiatori osavano addentrarsi lungo la stradina, ignorando e deridendo gli avvertimenti della gente del villaggio ai piedi della collina.
Per non esser visti mai più.
Accadeva con maggiore frequenza durante quelle che la gente chiamava, bisbigliando, “le Notti Speciali”.
Come questa.
Un'ombra saettava sollevando polvere dallo sterrato, veloce, quasi in una corsa contenuta a stento, con un ansimare pesante e forte.
La sagoma ammantata non pareva curarsi affatto del percorso, né della quasi totale oscurità che impediva di vedere a meno di una spanna dal proprio naso, né degli ululati, così come perdersi non sembrava una sua preoccupazione.
Neppure il tetro paesaggio pareva intimidirlo.
Procedeva svelto, scavalcando sassi e schiacciando rami secchi e foglie sotto i suoi piedi, quasi conoscesse ogni palmo di quella stradina impervia.
I rami sembravano ritirarsi al suo passaggio, quasi temessero d'irritarlo graffiandolo, e gli ululati famelici si trasformavano in guaiti flebili e terrorizzati all'approssimarsi di ogni passo, come se il suo fosse l'aspetto di un pasto indigesto, addiritura venefico e letale.
Un branco di lupi scappò terrorizzato all'ombra del viandante disegnato dalla luna, e subito un sorriso troppo nero e troppo oscuro gli si dipinse sul volto, soddisfatto e colmo d'orgoglio.
“TOC TOC” bisbigliò tra denti neri e gialli, poggiando delicato le nocche sull'uscio della casetta in cima alla collina.
“TOOOC TOOOC” urlò abbattendo il pugno contro la porta, facendola tremare e scricchiolare pericolosamente.
Un cigolio accompagnò l'aprirsi sommesso della porta, sprigionando l'oscurità contenuta al suo interno.
Il viandante avvertì due occhi neri e profondi squadrarlo con fare inquisitorio.
“Superbia?” squillò una vocetta stridula e fastidiosa come le unghie contro una lavagna “non credi di essere in ritardo?”
“Pensi che m'importi, Sorellina?I migliori devono farsi attendere” aggiunse con una smorfia, sbuffando in faccia alla ragazza cicciottella e brufolosa davanti a lui.
“Si, ok, ma il resto della famiglia è qui da un pezzo, aspettavamo te per tagliare l'arrosto!Io ho fame!” piagnucolò la ragazzina dagli occhi come l'abisso e dalle dimensioni di un armadio.
Superbia abbozzò un sorriso sghembo.Tra i suoi fratelli e sorelle, Gola era quella che preferiva: la sua ingordigia, il suo essere nefastamente ed orribilmente brutta non faceva altro che gonfiare il suo già spropositato ego.
Lei era, per lui, null'altro che la prova vivente della sua superiorità.
Si fece largo oltre l'ingombrante sorella, percorrendo a lunghi passi il corridoio tappezzato a fiori ingiallito e gonfio di muffa.
Poche candele illuminavano un salone da pranzo che sembrava uscito fuori dalle pagine di un romanzo ottocentesco, ragnatele e lenzuola impolverate ricoprivano masse informi che in un'altra vita avrebbero potuto esser mobili e suppellettili di fattura ricca e pregiata.
Tutto sembrava così tristemente decadente, quasi derelitto, abbandonato, come se il tempo avesse impietosamente abbattuto il suo sguardo solo in quel luogo, tralasciando il resto.
“Sono arrivato, miei cari” tuonò Superbia con voce catarrosa “Vi perdono per essere in anticipo, non preoccupatevi delle scuse”.
Le cinque figure al tavolo bofonchiarono qualcosa, qualcuno lasciò cadere con fragore le posate contro la porcellana intarsiata di crepe e scalfiture, altri continuarono a masticare rumorosamente i loro bocconi, qualcuno lo fissò con l'aria disgustata di chi ha appena mandato giù un bicchiere d'aceto.
“Accidia, solleva le tue natiche dalla mia sedia” disse Superbia, accompagnando le parole ad un gesto rapido della mano sinistra “Il posto di capotavola spetta al “Peccato della Notte Più Speciale”, lo hai dimenticato?”
“Scuuusa taaantooo” biascicò muovendo impercettibilmente le labbra, quasi le costasse uno sforzo immane.
La donna pallida e flaccida si scostò dalla sedia, lenta, lasciando i piatti e le posate già usate nel posto che avrebbe occupato Superbia. Non intendeva muovere un altro dito, e lo diede ben a vedere con ogni piccolo e lento movimento che dovette compiere fino alla sua sedia.
“Allora” esclamò Superbia sfregandosi le mani con vigore, sorridendo con la dentatura sghemba e putrescente “che avete preparato per Natale?”
I commensali fecero finta di non sentire, sebbene dentro, ognuno di loro, stesse in trepidazione, addirituttura bruciando e friggendo come una patatina fritta tanta era il desiderio di parlare e vantarsi delle proprie malefatte.
Era usanza di famiglia commemorare quello che loro chiamavano la “Notte Più Speciale” (dire la parola “Natale” provocava loro un leggero quanto fastidioso senso di nausea, capace di fargli passare l'appetito, ragion per la quale avevano scelto un'espressione che loro definivano “politicamente corretta”) con una grande cena a base di ogni leccornia e ghiottoneria, con tutta la famiglia riunita a raccontarsi le migliori malefatte organizzate per deviare e distorcere il senso del Natale. Il migliore, a giudizio insindacabile della giuria composta dai commensali, sarebbe stato eletto il “Peccato del Giorno Più Speciale” ed avrebbe seduto a capotavola.
Superbia era il detentore assoluto, non aveva perso il titolo nemmeno una volta.
Beh, quasi mai. Una volta Lussuria gli soffiò il posto con un colpo di mano, ma questa è un'altra storia.
“Su, timidoni” Sorrise malvagio Superbia, gli occhi carichi ed incandescenti del color del magma “chi comincia?”
Addentò un cosciotto d'agnello strappandone un pezzo molto più grande di quanto potesse masticare, fissando negli occhi i suoi fratelli e sorelle.
“TU, Avarizia” esclamò con ancora pezzi di carne tra i denti “ comincia tu!”
Il vecchio adunco all'altro capo del tavolo sorrise soddisfatto tra i suoi quattro denti, gli unici rimasti di una dentatura in origine decisamente meglio assortita, mentre gli occhi sottili e lattiginosi si posavano su quelli degli altri commensali.
Accompagnò un lembo del fazzoletto alla bocca, raccogliendo i residui di cibo attaccati alle labbra (era sua abitudine conservarli per mangiarli in un secondo momento), e prese fiato gonfiandosi la pancia come una vecchia cornamusa.
“Cari” esordì lesinando persino sulle parole, tanto era tirchio “delizierò le vostre orecchie con una splendido e meraviglioso atto di vigliaccheria”
“E sbrigati!” tuonò spazientito Ira, ma subito gli altri Peccati lo misero a tacere con un coro di “Shhh” ed un tripudio di mani agitate.
“Allora” riprese il vecchio canuto dai capelli in ordine sparso “Sono stato meraviglioso: il mio regalo all'umanità si chiama
: CRISI ECONOMICA. Ho messo in ginocchio intere famiglie per gli interessi di pochi potenti, i miei cuccioli prediletti, permettendo loro di accumulare sempre più capitali, impoverendo le masse. Ah, che delizia! Guardate un telegiornale, leggete un quotidiano: tutti parlano di quello che ho fatto! Posti di lavoro distrutti, genitori che non sanno come sfamare i figli, ricchi che diventano sempre più ricchi, e le mie amate avide vogliono sempre di più e di più! Sembra un sogno, vero?Persino aiutare il prossimo è diventato un lusso: adesso ognuno non riesce a far altro che pensare a sé, dimenticandosi del fratello, preoccupandosi solo del denaro! Che delizia! Che delizia!”
I commensali si scambiarono sguardi soddisfatti, felici di tanta devastazione sul genere umano, accompagnando la gioia con un brindisi.
Una donna sollevò la sua coppa con un gesto lento, lascivo, sistemandosi con la mano libera una ciocca corvina che ribelle le s'inanellava sulla fronte, quasi a voler richiamare su di sé l'attenzione.
“Decisamente un'ottima storia, Avarizia, ma si può fare di meglio” sussurrò suadente Lussuria “Come me, ad esempio”.
“Sentiamo, allora” sentenziò superbia, ingollando stizzito una sorsata di vino.
“Il mio Dono all'umanità è la Carne. Ogni suo vizio, ogni suo desiderio. L'ho liberato dai sensi di colpa dell'infedeltà, l'ho guidato nell'estasi del piacere sollevandolo da tutte le altre proccupazioni. Ho offerto lui un seno al quale nutrirsi. Il mio. Ogni cosa parla di me, ogni rivista, ogni programma televisivo è un inno alla mia persona, al piacere!Ho distrutto matrimoni, spinto nel sudiciume e nelle bassezze, corrotto la bellezza dell'amore, rendendo tutti miei schiavi...ah, miei fratelli...che capolavoro!”
Un timido applauso di consenso si sollevò dalla tavola, nessuno (tranne Superbia che ancora nonaveva digeristo la sconfitta di qualche tempo addietro) se la sentiva davvero di contraddirla.
Lussuria era decisamente un peccato senza tempo.
“Sorellina” disse superbia indicando con un cenno del capo la ragazzina obesa e brufolosa “vuoi deliziarci tu?”
“Si,si!” esultò Gola con la sua irritante vocetta stridula “ho fatto un regalo troppo bellissimo!ci ho messo tanto impegno ed infatti è venuto perfetto...è tanto articolato, sai?Si parte con l'ingordigia folle, il desiderio di sprecare e sprecare, tipo quello che stai facendo con il cosciotto d'agnello che ti sei messo in bocca tutto d'un pezzo, fratellone” disse indicando Superbia “per continuare con lo sfruttamento irrazionale delle risorse del pianeta, devastando l'ecosistema e le economie più deboli!pensa a quanti bambini sto affamando in Africa e quante pattumiere riempio in Europa! Sono stata braverrima, vero Fratellone?”
Superbia osservò il cosciotto che per metà usciva dalla sua bocca e non potè far altro che annuire.
La sua sorellina stava decisamente crescendo, erano lontani i tempi in cui era un peccato piccolo piccolo.
“Ehi, ma quando tocca a me?!?” sputò fuori dai denti l'uomo rasato con la faccia incarognita e gli occhi cattiviiiii “Mi avete rotto con le vostre stupidaggini!Non avete fatto nulla di così incredibile, ai vostri mali c'è rimedio! Io ho fatto il meglio!”
“Ma davvero?” lo sbeffeggiò Superbia con aria di sufficienza “Sentiamo...”
“Buffoni, io ho fatto il meglio” ringhiò come una belva famelica “io ho donato la violenza, ossa rotte e teste spaccate utilizzando tutti i “doni” che voi avete fatto all'umanità!Li ho usati come detonante per scatenare violenza ovunque, a partire dalle mura domestiche fino alle strade!Io ho ucciso e saccheggiato ogni speranza, ho corrotto gli uomini con l'intolleranza e fatto esplodere le guerre, con i motivi più futili! Ditemi, dilettanti, se non sono il migliore!”
“Non t'allargare, Ira!” lo interruppe Superbia “Questo lo deciderà l'assemblea. Dopo. Ed intanto cerca di non invadere la mia area di competenza. Vai avanti tu, Invidia”
“Io?Grazie, mi chiedevo quando vi sareste decisi. Tutti hanno avuto opportunità di parlare tranne me...”
“Invidia...taglia corto” la riprese spazientito Superbia
“Certo, certo, devo lasciare tempo agli altri, vero?C'è sempre qualcuno di migliore da ascoltare,no?”
“INVIDIA!” tuonarono i Peccati in coro.
“Va bene, va bene” replicò timidamente la donna fasciata da uno splendido abito da sera viola, secondo solo a quello di Lussuria “comincio”.
“Il mio dono all'umanità? La “sindrome dell'uomo qualcuno”!”
Tutti i presenti la guardarono con l'aria di avere un grosso punto interrogativo stampato sulla fronte.
Invidia abbozzò un sorriso.
“Non capite, vero?Come siete arretrati. Siete vecchi e non lo sapete. La sindrome dell'uomo qualcuno (o qualcunismo, per fare prima), è quella che sta dilagando ovunque!Avete presente gli idioti che si riprendono in situazioni improbabili mentre urlano “Italia unooooo”?Oppure i tizi che vanno al Grande Fratello?O tutti quelle che vogliono fare le veline? Dai, tutti quelli che credono che lo scopo della vita sia “essere conosciuti”, che non essere famosi equivalga a non esistere affatto!Suvvia, usate il cervellino voi che siete più intelligenti di me!”
Annuirono tutti sommessamente, sconcertati dalle parole di Invidia.
“Tutto questo perchè?vedono il mondo dorato della Tv, lo Star Sistem, i soldoni e le folle che sbavano urlando il loro nome. Lo vogliono, lo bramano. E sarebbero disposti a pagare qualsiasi prezzo. Anche indulgere in tutti i vostri peccati pur di ottenere l'oggetto della loro “Invidia”. Sembra proprio che quest'anno abbia vinto io.”
“Come al solito sconfini nel mio Peccato, Invidia” disse seccato Superbia “hai qualcosa da dire Accidia?”
La donna pallida e flaccida lo fissò per un istante, in silenzio.
“Naah, non ho voglia di partecipare. E poi la TV ed i cibi precotti parlano abbastanza in mia vece”
“Allora sembra essere il mio turno, miei adorati fratelli” disse Superbia, gustandosi ogni sillaba di ogni singola parola.
“Il mio dono?tutto ciò che già l'anno scorso ho portato: me stesso.”
I commensali si presero la testa tra le mani: da millenni, ormai, toccava loro sorbirsi le vanterie di Superbia .
“Ho fatto credere ad ogni uomo che la sua idea fosse quella giusta, senza farlo mettere in discussione, l'ho convinto d'esser supremo sopra gli altri uomini, d'essere infallibile. Gli ho dato l'arroganza, la cieca boria, l'indipendenza da ogni cosa se non dai suoi stessi vizi. Gli ho fatto costruire strumenti sempre più efficienti per schiacciare la volontà dei suoi simili, per opprimere ed uccidere con dolore e terrore chi gli si oppone, per dominare e controllare. Gli ho fatto credere di non aver bisogno di Dio e della salvezza, l'ho fatto diventare il dio di se stesso.
Ho guardato dentro l'uomo ed ho messo in lui un pezzo d'abisso, illudendolo che la luce di Dio non serva a nulla in un luogo tanto oscuro. Gli ho fatto credere che la PAROLA sia soltanto una favola, al più un buon insegnamento per menti deboli”
“Ormai l'uomo pecca e da solo si assolve, addirittura non ci riconosce neanche più, tanto ci ama...”
Prese fiato e sorseggiò un vino rosso come il sangue, soddisfatto.
“Come sempre, ho vinto io”.


“Nonno, nonno! Ma davvero ha ragione quel bruttone di Superbia?Io non lo sopporto!Dici che posso picchiarlo con la spada dei Power Ranger?”
Il nonno sorrise, accarezzando quel batuffolo di bambino che stava appollaiato con il broncio sulle sue gambe.
“No, non serve, piccolino. Superbia è già stato sconfitto, solo che fa finta di non saperlo. Non può mica ammettere davanti ai suoi fratelli che Gesù lo ha sconfitto per sempre sacrificandosi sulla Croce, sai?”
“Il Signor Gesù, quello che salutiamo al mattino e che ringraziamo per la la pasta che cucina la mamma?”
Il sorriso si distese ancora più largo sul viso incorniciato dalla barba bianca.
“Proprio Lui! Quello al quale parliamo dei nostri problemi, che ci ascolta e ci aiuta, il Signore che ci protegge e ci perdona ogni volta che facciamo una cosa cattiva (come dire le bugie, vero?). Pensa che ti vuole talmente bene che è venuto sulla Terra proprio perchè tu potessi conoscerlo, sai?”
“Davvero?”esclamò il bimbo, formando una grande “O” con la bocca.
“Ma certo, e Lui è con noi proprio adesso, qui, in questo momento. Ci ama così tanto da non separarsi mai da noi. Vuole conoscerti, piccolino, vuole che tu sappia il suo nome, Gesù, così come lui conosceva il tuo prima ancora che tu nascessi. Il Natale rappresenta il suo Compleanno,sai? Perchè non andiamo a cantargli “Tanti Auguri”?”